Una delle figure “minori” presente nei presepi ma largamente rappresentata è quella del soldato armato. Alcuni personaggi sono a cavallo armati con lance, altri sfoderano spade ed armature di vario tipo. Attorno a questo personaggio sono nate molte e originali storie cantate. Alcune si riferiscono ad episodi legati al viaggio verso la grotta di Betlemme, altri, e sono i più numerosi, ci descrivono momenti cruenti legati alla strage degli Innocenti. Di grande valore è la narrazione siciliana sullo stile “recitar-cantando” tipico dei cunti, magistralmente interpretato da Mario Incudine, in cui è descritto con grande pathos narrativo il momento in cui il soldato sta per ammazzare il Bambino Gesù. La visione di quella creatura «ddu fari tantu stranu ca nenti avia di umanu, ma era divinu» induce il soldato a pentirsi abbandonando l’arma assassina.
«E quannu ’u sangu ’mbriacava l’aria
E a luna ncelu parìa di vinu russu
vitti l’ultimu picciriddu e comu un pazzu
isau lu frazzu all’aria e …
e… ci cadiu lu cuteddu di li manu
taliannu l’occhi innocenti di lu bamminu
lu disarmau».
E lo stesso racconto, se pur con impianti melodici e dialettali diversi, è presente anche in altri brani tipici dei cantastorie dell’Italia appenninica così come quello interpretato da Raffaello Simeoni che descrive il pentimento di un soldato di Erode al momento di uccidere con la sua spada un bambino. Anche qui, così come nel drammatico e intenso cunto siciliano, il soldato viene abbagliato da una luce che provoca il suo pentimento tanto che egli sotterra l’arma che aveva in pugno. In quel preciso momento quella terra che era stata, così come recita il canto, “di Lucifero padrone”, si trasforma in:
«Messe di frutti e di fiori
dovunque la terra rinasce
è stato quel raggio divino
dal sangue ha creato la vita».