Va considerato il linguaggio, con cui i giornali laicisti e della sinistra estrema trattano, per esempio, l'aborto e i suoi " come dire? " passi avanti. Scomparso del tutto dal lessico di quella stampa ogni accenno di valutazione etica, sia pure "laica", e del dramma femminile e familiare in mancanza di aiuti e di altre soluzioni, ormai si fa ricorso soltanto a una terminologia di contrapposizione e di battaglia con un nemico unico: il Vaticano, i Vescovi, la Chiesa insomma, a dimostrazione che la tragedia di una madre che fa morire il proprio figlio in seno è usata esclusivamente come strumento politico. Per La Repubblica (venerdì 15) la nuova legge che in Spagna trasforma l'aborto da concessione dello Stato in «autonomia del paziente, per la quale i maggiori di 16 anni possono decidere da soli tutte le terapie mediche alle quali devono sottoporsi» (dunque la gravidanza sarebbe un malattia?), consiste soprattutto in questo: che «Zapatero lancia la sfida ai vescovi». Su questo aspetto Repubblica fa il trio con L'Altro, il nuovo piccolo quotidiano che Piero Sansonetti ha messo su dopo essere stato licenziato da Liberazione, e con quest'ultima. Mentre, però, Liberazione, che da quando ha un altro direttore è più calma, si limita a una notizia di 17 righe anche se il titolo annuncia «la furia della Chiesa», L'Altro dà grande rilievo al riconoscimento formale di un «diritto intoccabile della donna» e lo valuta così: «Il Vaticano deve incassare un'altra botta non da poco [...] ed è la Spagna del socialista Zapatero ad affondare la lama». Immagine quanto mai appropriata, ma per il grembo di quelle povere donne.
PILLOLE E ADDENDI
Anche l'Unità (martedì 12) annuncia un'altra «sfida di Zapatero»: la «pillola del giorno dopo a disposizione di tutte le minorenni. È una legge per diminuire gli aborti». Nossignore: se c'è stato un concepimento, la pillola fa abortire subito quel concepito che si prevede sarebbe abortito dopo. Alle elementari s'insegna che, mutando il tempo degli addendi, la somma non cambia.
IL MALE COMUNE
«Il Catechismo " titola a tutta pagina Libero (giovedì 14) " chiude le frontiere aperte». Leggendo quel giornale, qualche allocco ci avrà creduto, anche perché al titolo segue la citazione del numero 2241 del CCC, secondo cui «le autorità politiche, in vista del bene comune [...] possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche particolari» eccetera. Il Catechismo, però, non è un coacervo di norme indipendenti l'una dall'altra né autorizza a trascurare qualche parte di un articolo. Per esempio, proprio il numero 2241, appena correttamente citato da Libero, ma letto con disattenzione, pone come finalità dell'opera di governo «il bene comune» che, per essere tale, deve riguardare tutti i soggetti, cioè anche gli immigrati, altrimenti non sarebbe «comune» né, tanto meno, «bene». E prima del 2241 viene il 2237 che afferma: «I poteri politici sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali della persona umana. Cercheranno di aiutare con umanità la giustizia nel rispetto dei diritti di ciascuno, soprattutto delle famiglie e dei diseredati». Tra i diritti fondamentali degli immigrati e dei diseredati non c'è quello di essere respinti in mare o in un Paese che potrebbe a sua volta respingerli e che non dispone di strutture per un'accoglienza umanitaria. Il Catechismo apre le frontiere chiuse.
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