Qualcuno ha ricordato, da qualche parte, che Omicron è stato un film prima che un virus, un film di fantascienza addirittura italiano, un "genere" dei meno frequentati dalle nostre parti con una mediocre eccezione di Elio Petri da Sheckley, La decima vittima, che virava irresistibilmente verso la commedia all'italiana, e di qualche economica avventurina degli anni settanta del '900, al tempo dell'ultimo fulgore del nostro cinema più popolare, e più pop. Anche il film Omicron, del 1963, regia e soggetto di Ugo Gregoretti, virava irresistibilmente verso la commedia, narrando di un extraterrestre che s'impossessava del corpo di un giovane operaio torinese della Fiat, morto sulle rive del Po non ricordo più come. Il compito di Omicron era di riferire ai suoi superiori, a migliaia di chilometri di distanza, sugli usi e costumi dei terrestri, per poterli invadere meglio, e gli usi che lui poteva frequentare erano quelli della classe operaia della Fiat di allora. Ricordo bene questo film perché una delle "relazioni" dell'extraterrestre ai suoi superiori riguardava il ciclo della produzione delle automobile, dall'ideazione alla catena di montaggio alla vendita al pubblico, anche agli operai che l'avevano costruita e assemblata pezzo per pezzo. Ed eravamo nel pieno del boom, e della motorizzazione degli italiani. Vivevo all'epoca a Torino e facevo parte del gruppo dei “Quaderni rossi”, anche se capivo ben poco di marxismo e sociologia industriale, e un'amica giornalista alla “Gazzetta del popolo”, Carla Perotti (figlia di un dirigente del Comitato di liberazione nazionale ucciso dai nazisti), mi fece incontrare Gregoretti – un colto borghese napoletano di rara simpatia, autore tra l'altro per la tv di uno sceneggiato che piacque a tutti o quasi, dal Circolo Pickwick di Dickens. Voleva che gli dessi una mano a orientarsi nel pianeta operaio della Fiat, e lo feci in compagnia di un altro d5 “Quaderni-rossi”, Emilio Soave, che divenne più tardi un bravissimo libraio antiquario, buttando su carta una minuziosa traccia per la scena della relazione sul ciclo dell'automobile, che Gregoretti visualizzò trovando le soluzioni visive al nostro racconto. Non fu un capolavoro, quel film, ma uno dei pochissimi che osasse parlare di classe operaia e di Fiat, e venne girato bensì alla Nuovo Pignone di Firenze, ché la Fiat mai avrebbe concesso Mirafiori. Il tempo passa, e l'Omicron di oggi è tutt'altra cosa dal film, ma forse un legame c'è, tra l'idolatria dello sviluppo che fu di quegli anni lontani e il disastro ecologico contemporaneo. Non ci sono, però degli extraterresti che potrebbero oggi salvarci da disastri di cui portiamo tutti un po' di responsabilità, anche se alcuni, i “padroni” come si diceva al tempo di Gregoretti, non ignoravano a cosa si poteva andare incontro.
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