domenica 24 maggio 2020
Di quell'appuntamento alle sette del mattino a Santa Marta mi mancheranno soprattutto tre cose. La faccia del Papa: più segnata, e meno allegra di quando salutò la folla per la prima volta, da San Pietro, ma ora per me più cara. Poi, le sue parole: certi giorni taglienti come frecce che colpiscono un punto dolente, certi giorni come semi – che germogliano, o no, a seconda della fecondità della terra che li accoglie. E infine, ma forse prima di tutto, mi mancherà quel silenzio alla fine della Messa: dieci minuti di silenzio assoluto, davanti al Santissimo esposto sull'altare. All'inizio, in quel vuoto mi pareva di annaspare, come uno che cada in acqua non sapendo nuotare. Poi mi ha attratto l'Ostia bianca nell'ostensorio d'oro, quasi fosse un sole.
Un sole irraggiante, che suscitava una fascinazione. Restavo a fissarlo, malgrado la consistenza virtuale dell'immagine in tv. Non avrei saputo dire con quali parole in mente. Forse, con nessuna parola. E guardavo anche Francesco, immobile, gli occhi fissi sul Santissimo. Si intuiva un dialogo vivo nel suo sguardo: non era solo, quell'uomo con la faccia stanca, era insieme a qualcuno. Il Papa “preso quasi alla fine del mondo”, invecchiato, gravato dal peso della Chiesa, in tenace fedele ascolto, ogni mattina. Chissà con quali parole, lui, nel cuore. Perfino io, sempre irrequieta e distratta, restavo presa dentro quel misterioso forte legame.
Con quali parole in fondo? mi chiedevo ancora. Nessuna, se non, quietata infine nel silenzio: «Gesù Cristo, mio Signore e mio Dio». Stando zitta, stando attenta per appena pochi minuti, infine riconoscendo qualcuno che hai davanti sempre, eppure solitamente non vedi. Come, finalmente, chiamandolo per nome.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: