Siamo in guerra, nessuna pietà». Questo è, su Libero (domenica 24), il titolo di un articolo sul tema della «sicurezza»: «Il rischio terrorismo islamico è altissimo, non possiamo più accogliere chiunque sbarchi da noi». L’impressione è che si benedica la paura di una nuova stagione di terrorismo per dare il taglio definitivo al salvataggio dei migranti dalle insidie del Mediterraneo. Davvero “pietà l’è morta” e dispiace che sulla medesima posizione si collochi (mercoledì 27) anche Il Foglio , che mentre nell’intera terza pagina pubblica il testo dell’intervento del Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, al Meeting di Rimini («Ci salveremo sulla Croce»), mette in prima pagina un articolo, a firma cattolica, che proclama: «Tutto il male della beneficenza è spiegato dal Vangelo (Matteo 19,19)... Se non fai beneficenza agli invasori africani pagando le tasse ecco che lo Stato ti sequestra tutto... Se uno è costretto a donare, è la vittima di un furto... Se non compri la rosa zozza dell’asiatico che ti disturba mentre ceni al ristorante con l’amata ecco che sei spilorcio... Dio mi chiede di amare il mio prossimo come me stesso» dunque «in primo luogo me stesso». Da qui la conclusione: «La beneficenza come presentemente la si pratica è innanzitutto un ladrocinio, lo ha spiegato l’economista Walter Block... Nei Vangeli non si parla certo di un amore universale esteso a tutti gli uomini... E allora perché la gente immagina che sia così? Perché la beneficenza agli sconosciuti risparmia di guardare in faccia il bisogno dei conosciuti. Le astrazioni sono sempre più comode della realtà». All’Autore si potrebbe chiedere, allora, per amore di chi Gesù è morto in croce e obiettargli che i poveri (immigrati compresi) te li trovi vicinissimi sotto casa, che i mezzi di comunicazione e di trasporto hanno abolito le distanze, che il Buon Samaritano non chiese la carta d’identità né la tessera sanitaria al poveraccio sulla strada di Gerico, che Papa Francesco nell’udienza del 12 febbraio ricordò che «nei poveri, nei malati, negli emarginati dobbiamo essere capaci di riconoscere il volto di Gesù». Infine che nel giorno del giudizio «saremo giudicati sull’amore», come diceva San Giovanni della Croce, che il Signore non ha detto a quale distanza il povero non è più «prossimo» e non chiederà l’attenuante della lontananza dai poveri, ma se avremo o non avremo dato da bere o da mangiare od ospitalità a Lui quando chiedeva queste cose in veste di povero, di malato, di naufrago, di abbandonato... LA “VERA” LIBERTÀ La vera libertà delle donne «è tradire felicemente». Questo “colmo” del femminismo è presentato da la Repubblica (mercoledì 27) come parere autorevole e credibile di una «sessuologa e teorica del poliamore», cioè della poligamia delle donne al di fuori del matrimonio. Infatti, spiega questa strana signora americana in un libro intitolato “La zoccola etica”, che oggi «la fedeltà vuol dire mantenere una promessa: di supporto emozionale, di sostegno reciproco, di condivisione delle rispettive vulnerabilità. Che c’entra il sesso?». Per non parlare dell’amore. L’Autrice è sposata con un «poliamoroso e bisessuale come lei», entrambi hanno avuto «innumerevoli esperienze senza implicazioni di sentimenti», ma lei ha anche «vissuto momenti di grande amore durante certe avventure di una notte». Per lei la monogamia, anche se è «molto funzionale, resta solo un “tipo” di relazione». Quanto a sé, dice la sessuologa, «mi sento profondamente femminista» e «ho constatato che le donne hanno un ruolo più rilevante nelle comunità poliamorose che in quelle monogamiche». Se così fosse davvero chi sarebbe più femminista delle – chiedo scusa per la sessuologa – «zoccole»? (nel suo inglese slut).
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: