martedì 12 maggio 2020
È come se in due mesi, dalle strade vuote, il silenzio fosse penetrato nelle case. Mi accorgo di rumori cui non ho mai badato. Come cantano i merli dal cortile, all'alba, in maggio. Cominciano che ancora è notte: allora i gatti di casa, immediatamente svegli, accorrono sul balcone. Li seguo: le pupille a fessura, le zampe contratte in un balzo che non possono fare, fremono di eccitazione. E i merli allora fischiano più forte, insolenti. In un rumoroso batter d'ali sulla magnolia del cortile atterra una grossa cornacchia. Si rialza in volo, ritorna: deve avere fatto qui il nido. Mi sono mai accorta, mi domando, del via vai di una cornacchia, da questa stanza in cui dormo da vent'anni? È che attorno c'è un silenzio che non c'è mai stato. Mancano le auto dei primi pendolari che calano in falangi compatte su Milano, i clacson, le frenate impazienti degli autobus in coda. Manca il tonfo del portone, giù da basso, che si chiude alle spalle degli inquilini più mattinieri. La portinaia per fortuna c'è, e spazza il cortile con la scopa di saggina, ciò che mi è di conforto. Ma quanto manca il fracasso metallico delle saracinesche dei bar, alle sei del mattino, quel segnale: «Via, si riparte», l'imperativo di alzarsi e lavorare. Nel silenzio denso si avvertono di più i suoni dagli appartamenti vicini: bambini, scambi nervosi fra coniugi prigionieri, ronzii di laboriosi aspirapolvere. Note di pianoforte: qualcuno suona, di sopra. Non bene, forse un ragazzo che si esercita: ma già quelle note balbettanti mi diventano compagne. Poi il rombo di un aereo che circumnaviga la periferia, sempre alla stessa ora. Milano nel fondo di un silenzio che la trasfigura: tendo l'orecchio al suono di una lontana campana. Anche il silenzio è una prova, se non ci sei nato dentro. Uno straniamento. Come aspetto la folla, il traffico, la frenesia – la vita, che tumultui ancora nelle vene di Milano.
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