Avevo una volta una vetrina piena di uccelli di porcellana, di ceramica, di stoffa che avevo raccolto anno per anno con piacere. Mi davano allegria con quelle ali distese come per prendere il volo, o con il becco alzato a raccogliere il cibo ed altri più piccoli, quasi nascosti dalle ali ripiegate, che sembravano avere paura del freddo dell'inverno. I colori rispondevano alla fantasia dell'autore, più che alla realtà della natura; il giallo, l'azzurro, il verde che splendevano sulle loro ali e che poi sfumava in un ombra di grigio e di color terra nelle parti nascoste davano loro un senso di leggerezza quasi fossero per alzarsi e partire. Un giorno pensai che ad una amica costretta a letto per una grave malattia facesse piacere averne uno vicino e glielo portai. Da allora tutti i miei uccellini, uno dopo l'altro presero il volo, sia per fare festa, sia per consolare una solitudine, altri per la gioia di sentire l'amico più vicino, per portare un pensiero, un ricordo o quel momento di serenità di cui tutti abbiamo bisogno. Gli ultimi due sono partiti questo Natale: erano due piccoli pavoni accovacciati che non volevano nemmeno aprire la coda, almeno così mi pareva. Ora quella vetrina è vuota e io penso che volano i miei uccellini nel cielo di Natale senza paura del vento e della pioggia portando un sorriso a chi li ha ricevuti mentre il freddo ha costretto quelli veri a cercare terre lontane dove il sole è caldo anche d'inverno. Li abbiamo visti radunati sugli ultimi rami verdi degli alberi, li abbiamo sentiti chiamarsi con altre grida e poi partire. Solo allora hanno incominciato a cadere le foglie dei grandi ippocastani e a farne un tappeto scuro sulle nostre strade, quasi un pericolo per il nostro cammino poiché nessuno le raccoglie. Ma questo fa parte della eternità della capitale che riesce a sopravvivere ad ogni incuria ed a farne quasi una qualità da sopportare con pazienza. In compenso il nostro cielo regala ore di sole quando altrove nuvole oscure sembra che passino gridando: «Fuggite, ora veniamo con la pioggia». E davvero esse gettano, con la fantasia di venti estivi, temporali inaspettati nel tempo d'inverno quando gli alberi di Natale illuminano piccole piazze, lunghe strade e largo spazio nelle città. Gli alberi accesi venuti da una tradizione del Nord hanno quasi cancellato il diffondersi del presepio e il povero Gesù Bambino di fronte al quale dicevamo la poesia ha dovuto lasciare il suo posto a quella schiera di Babbo Natale che occupano le nostre strade e le nostre piazze. Sono troppi ed i bambini, anche i più piccoli non ci credono più. Restiamo noi che abbiamo bisogno di favole per creare serenità ai nostri giorni e infine anche l'albero pieno di luci lo facciamo ancora con la gioia della fanciullezza quasi che il tempo fosse ritornato indietro quando si cantava assieme alla famiglia: Santo Natale!
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