Una compagnia di giovanissimi, che autoironicamente si denomina «MaiSentiti», ha messo recentemente in scena in un teatro milanese Il Maestro e Margherita, di Michail Bulgakov. Onore al merito, alla temerarietà di questi ragazzi che con grande entusiasmo si sono cimentati con un testo difficile, moltiplicandosi nei diversi personaggi con una convinzione e un'energia che il regista Leonardo Gazzola ha saputo incanalare a dovere. L'occasione teatrale ha indotto alla rilettura del romanzo, anche per verificare alcuni passaggi delle movimentate scene apprezzate sul palcoscenico. Leggere, rileggere. A volte è meglio non rileggere, come accade con i film di cui si ha un ricordo vibrante e che, rivisti a distanza di anni, deludono acerbamente.
Il romanzo di Bulgakov è terribilmente datato. Sappiamo che una prima versione fu distrutta nel 1930 dall'autore che prevedeva l'intervento della censura sovietica. Riscritto a partire dall'anno successivo, una terza stesura fu ultimata nel 1937, ma Bulgakov continuò a limarlo fino a poche settimane prima di morire, nel 1940. A cura della moglie, il romanzo finalmente vide la luce nel 1941. La storia di Satana-Woland che irrompe nella società moscovita degli anni Trenta, con uno strampalato seguito di collaboratori (fra cui il gigantesco gatto Behemot, che sale in tram pagando regolarmente il biglietto), si intreccia col romanzo inedito del Maestro che ha come protagonista Ponzio Pilato (interpretato a teatro dal fervido Andrea Migliarese).
Ebbene, il surrealismo del racconto oggi appare fuori epoca, lontano come le trovate di Marcel Duchamp, e solo raramente Bulgakov raggiunge la poesia che Chagall ha saputo esprimere in pittura. Per dirla (o ripeterla) tutta: adesso che l'impero sovietico è crollato, anche la letteratura d'opposizione è rimasta coinvolta nel crollo. Ciò vale perfino (ed è quasi una bestemmia) per Solzenicyn, per Lo scherzo di Kundera, che resta il suo libro migliore. È così. Di quella temperie non si vuole più sentir parlare, è remota, è come volersi/doversi appassionare alle guerre sannitiche.
Gli anni Trenta in Russia, poi. La cricca dei letterati di regime, ironizzata da Bulgakov, è semplicemente grottesca, non indigna più. E l'amore di Margherita per il Maestro è pur sempre un amore adulterino, e questo Satana prestigiatore è solo un buon diavolo, quasi di buon cuore. Quanto al romanzo di Pilato, è un apocrifo malcostruito, con un Gesù con poca coscienza di sé, che non si fida di quello che sta scrivendo Levi-Matteo, e lascia sottintendere un generico buonismo.
La figura di Pilato è certamente resa con la necessaria tragicità, ma ipotizzare che riscatti la sua viltà facendo assassinare Giuda è, quanto meno, cervellotico. Il Vangelo va letto e interpretato per come è scritto, oppure lo si lascia da parte. Riscriverlo con inserti personali è una sciocchezza, e pure Bulgakov ci è cascato. Stesso discorso per il Faust di Goethe, al quale Bulgakov allude: va bene così com'è, lasciamolo in pace.Nel coacervo di magia nera, burocrazia letteraria, crisi degli alloggi, emicranie del procuratore della Giudea, sabba addomesticati e voli di streghe a cavallo della risaputa scopa, si salvano alcune battute e alcune situazioni linguistiche, ma come se si riproducessero le vignette del nonno nella rubrica «Così ridevano».
E restano anche alcuni aforismi come il proverbiale «I manoscritti non bruciano», suffragato dal finale passaggio di consegne tra il Maestro e il giovane poeta che ha promesso di smettere di scrivere brutti versi.C'è dell'altro, naturalmente, come chiunque può verificare: del Maestro e Margherita ci sono ottime edizioni economiche Einaudi, Garzanti e nella Bur.
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