Che il libro sia o non sia bene di prima necessità è una questione che sta creando dei dibattiti senza fine. E se si capiscono bene le preoccupazioni del mondo dell'editoria, si intuisce anche il rischio che una libreria diventi luogo di assembramento, propizio alla propagazione del virus. Conosco molte città del mondo grazie alle loro librerie, ne ricordo le sezioni talvolta meglio di un commesso, eppure qualcosa in me dice che voler fare del libro un “bene necessario” significa ucciderne la vita, ridurlo a una merce come un'altra. Per leggere un libro occorre anche lo spirito giusto. Se l’uomo non vive di solo pane, è vero anche che muore sicuramente di assenza di cibo; vive anche della Parola, ma non muore fisicamente – se non forse in certi rari casi – dell’assenza di parole.
San Tommaso d’Aquino affermava che non si può predicare il Vangelo a chi è affamato. C’è chi, in questo confinamento, passa il tempo a leggere i libri, ma quando fuori – fuori dalla propria abitazione – c’è gente che muore, che soffre, che si sforza a curare, insomma: quando fuori c’è una situazione instabile, no so quanto un libro qualsiasi possa essere considerato un bene essenziale. Mi sembra piuttosto un diversivo, quasi un lenitivo, per altri versi più che giustificato. Il libro rischia di essere equiparato a una serie televisiva concepita per distrarre, sicuramente creando una piacevole dipendenza e facendo soprattutto funzionare una certa economia.
Nulla in questo momento è da giudicare negativamente e nemmeno da denigrare, perché tutto quel che contribuisce a creare vita, anche una serie televisiva è in un certo senso una benedizione. Così ne va di qualsivoglia libro. Questo ha sì uno scopo terapeutico, benché la sua vocazione dovrebbe essere più elevata. San Domenico di Guzmán, il fondatore dell’Ordine domenicano, mentre studiava a Palencia vendette i suoi preziosissimi libri pur di venire in soccorso alla popolazione travolta da una terribile carestia. Lui, fondatore uno degli ordini religiosi più fedeli allo studio e al culto della Parola, non ha esitato un solo istante a trasformare i suoi libri in moneta sonante per far salvare esseri umani in difficoltà.
Quanto mi sembra bene necessario è la coscienza di quel che sta accadendo, di una trasformazione che non può lasciarci e non ci lascerà indenni. Il mondo è chiamato a un cambiamento, i nostri rapporti lo sono e lo saranno sempre di più rispetto alla forma deregolata che ha prodotto il neoliberismo, fonte anche di un’ingiustizia sociale. Per quanto semplicistico possa apparire, è il rapporto con la Parola che va recuperato e non solo nel senso biblico, ma soprattutto nel senso del peso da dare alle parole che continuiamo a consumare al telefono, nel lavoro online e in tante altre occasioni, oltre che in quelle scritte. Se il libro, magari acquistato in una delle librerie di nuovo aperte, ci aiuta a rivedere il rapporto con la Parola, può effettivamente diventare un bene necessario anche in questo momento.
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