Ho riletto con letizia la risposta che papa Francesco, sabato in Duomo a Milano, ha dato al diacono permanente che lo ha interpellato, con la quale ha ribadito che i diaconi sono i custodi del servizio nella Chiesa. Mi ero appena imbattuto, infatti, nella storia di un incontro tra un altro diacono permanente e un fedele «antimoderno», narrata da quest'ultimo qualche giorno fa, con intento dichiaratamente pedagogico, sul sito “Riscossa cristiana” ( tinyurl.com/lrvkwcw ). Al centro della scena, una conversazione avvenuta presso il santuario mariano di cui il diacono ha cura, la quale sarebbe degradata, da parte di quest'ultimo, man mano che il fedele ha esplicitato i suoi legami con la Fraternità sacerdotale San Pio X e il suo apprezzamento per la messa “tridentina” e l'uso del latino nella liturgia.
L'autore del racconto, con dovizia di particolari, sottolinea i pregiudizi che ha ravvisato nelle parole e negli atteggiamenti del diacono, ma ancor più dà risalto ai propri: giacché qualifica il suo interlocutore come «frutto becero di quel diaconato “laico” che ha spopolato con l'eresia modernista», e conclude mettendo tutto sul conto «del misericordismo bergogliano e ancor prima della pastorale conciliarista». Chissà se si sarà ricreduto leggendo il commento-risposta che, con qualche giorno di ritardo, il diacono in questione ha postato sul sito. Dove prima di tutto smarca il santuario – prima ancora di sé stesso e del ministero che egli esercita – dall'accusa di modernismo; poi non nega di «aver alzato appena la voce» e ribadisce alcune sue opinioni sul «vecchio rito». Ma, il che mi pare la cosa più importante, sottolinea che la risposta alla richiesta che ha originato la conversazione – far battezzare in quel santuario un bambino da parte di un sacerdote della Fraternità San Pio X – non è «no» ma «devo chiedere il permesso» (al vescovo, immagino). Il tutto con onestà, pacatezza e un pizzico di autoironia – a proposito di un certo sigaro.
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