Introducendo sul suo blog di "sorrisi e pensieri evangelici" il commento al Vangelo di oggi ( tinyurl.com/y3t8trju ) don Giovanni Berti, in arte Gioba, suona una nota a me molto cara: quella della testimonianza antievangelica resa dai cristiani quando, sui social network, esercitano contro qualcun altro, spesso un fratello nella fede, la propria violenza verbale. La sua vignetta immagina che, prima che il Maestro si pronunci sull'adultera che gli hanno portato, tra gli accusatori uno chieda: «Non vieni anche tu a lanciare pietre contro la donna davanti a Gesù?». E l'altro, armato di smartphone: «Lo faccio sui social... fanno più male e nessuno mi vede...». Nel prosieguo propriamente omiletico del post, don Berti rimane sul terreno digitale ma ribaltando la direzione della sua attualizzazione: legge infatti tutto l'episodio del Vangelo di Giovanni come un confronto tra "virtuale" (che quindi non è solo ciò che è legato a Internet) e "reale", dove «la realtà di Gesù è opposta alla virtualità dei suoi accusatori». Ma vorrei soffermarmi ancora sull'immagine, segnalando che da martedì prossimo i fan di Gioba troveranno un'accurata selezione delle sue tavole più riuscite in un volume (scritto a quattro mani con Lorenzo Galliani, edito da Ancora) dal titolo paradigmatico: Nella vignetta del Signore. È ben vero che le "pietre" lanciate attraverso la Rete fanno più male, perché si rende testimone del lancio una platea potenzialmente illimitata e portata all'imitazione; ed è ben vero che si può lanciarle protetti dall'anonimato, dunque sottraendosi completamente alla propria responsabilità. Poi c'è tutto il capitolo degli aggettivi per sé non offensivi, anzi neutri, ma che qualcuno utilizza come un'offesa, o una scomunica, nei confronti del suo prossimo. E c'è anche la moda, molto giornalistica, di storpiare il cognome dell'"altro" per screditarlo, oltre che deriderlo: ma chi, per "casata", è più esposto a questo gioco, c'è abituato dalla seconda elementare.
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