Sarà un po' per moda e un po' per necessità, ma in Italia continua la crescita del mercato dei cosiddetti grani antichi. Mercato di nicchia, certo, ma significativo di qualcosa che nell'alimentazione nazionale cambia ancora. Dopo la sbornia a base di fast food e cose simili, dopo la fascinazione da parte dei prodotti tipici e a denominazione, quello dei grani antichi e nazionali rappresenta un passo verso il recupero di una tradizione importante (e buona), oltre che una risposta all'eccessiva presenza di prodotti che non fanno parte della nostra dieta. E tutto vale anche un bel po' di soldi. Per capire occorre fare degli esempi. Coldiretti, rileva così che per una delle varietà d'eccellenza della scienza agronomica italiana, il Senatore Cappelli, si è passati da circa mille ettari coltivati nel 2017 ai 5mila attuali. Secondo le stime raccolte dai coltivatori sulla base di dati di Consorzi Agrari d'Italia e Sis, società leader nel settore sementiero, emerge che le superfici seminate potrebbero ulteriormente raddoppiare già a partire dalla prossima stagione.
Ricerca della tradizione affidabile certo, ma anche necessità economica che coinvolge la produzione nazionale di frumento. Sempre Coldiretti fa notare che «si sono letteralmente azzerate le importazioni di grano canadese: nel primo trimestre del 2018, appena 200mila chili rispetto ai 181 milioni di chili arrivati nei nostri porti nello stesso periodo dell'anno precedente». Fenomeno che ha una precisa spiegazione nel riposizionamento dell'industria pastaia italiana che per anni ha visto nel Canada il principale fornitore di grano duro. Strategie di approvvigionamento diverse quindi, che a loro volta sono state determinate da una questione tecnica: il fatto che in Canada il grano duro viene trattato con l'erbicida glifosato in pre-raccolta, secondo modalità vietate in Italia.
È interessante osservare la catena di cause che ha portato ad un cambio così drastico di mercato. Un erbicida vietato in un grande mercato mondiale e usato ancora in un altro, blocca le importazioni di una materia prima fondamentale e costringe l'industria di trasformazione di questa a cercare nuove fonti di approvvigionamento tornando di fatto ai "vecchi" fornitori e generando un nuovo mercato. Coldiretti giustamente osserva «la rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l'origine nazionale al 100% del grano impiegato». In questo campo giocano alcuni dei migliori marchi nazionali. Le cose tuttavia non sono così stabili. Occorre tenere conto anche delle produzioni nazionali (che quest'anno non crescono), e quindi delle necessità di approvvigionamento dell'industria; ma è necessario anche ricordare che tutto è legato ad un divieto imposto per legge.
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