venerdì 15 agosto 2014
Cinque, dieci, trenta. Questa settimana si danno i numeri. E sono quelli che riguardano il calo della vendemmia delle uve 2014, che ormai è iniziata, soprattutto per le uve bianche che poi saranno la base per gli spumanti, detti anche bollicine, ad eccezione dei Franciacorta che, orgogliosamente, i produttori vogliono nominare come simbiosi col loro territorio, come nello Champagne.L'acqua del mese di luglio non ha fatto bene nelle vigne, ma l'annata, a parte il dato quantitativo, sembra buona. E sarà la vendemmia che porterà gran parte dei vini che si berranno nel 2015, biglietto da visita per l'Expo, che al vino italiano dedicherà addirittura un padiglione intero.Ma siamo veramente pronti a far conoscere la versatilità del vino italiano al mondo ? I dubbi sono fortissimi, soprattutto dopo qualche visita vacanziera nelle sagre di paese. Le sagre sono in qualche modo un patrimonio del nostro Paese, appannaggio delle pro loco che valorizzano un bene identitario di un Comune. Nella Marche, una delle poche regioni italiane che si nomina al plurale, le sagre sono tante e per tutti i gusti. Ma il vino immancabilmente, anche quello importante che ha comportato sacrifici non da poco per finire in bottiglia, viene mortificato dentro a quei bicchieri di plastica che segnano ancora la nostra immaturità a promuovere un prodotto. Così si mettono i banchetti in piazza, si mangia nelle tavolate, e il vino resta un succedaneo, fosse anche quello di un paese che gli dà il nome. Che mortificazione quelle bottiglie di Verdicchio calde (neppure l'acqua minerale era calda quella sera, ma il vino bianco sì, beata ignoranza), frutto di una buona volontà senza rispetto, senza intelligenza. Anche l'ex premier Massimo D'Alema, settimana scorsa, ha esordito coi suoi vini prodotti in Umbria in una sagra di paese. E le foto lo ritraggono dietro a un banchetto, con un astante che tiene in mano il solito bicchiere inadeguato. Ha venduto 150 bottiglie circa.Evviva. Se ci sono grandi numeri, alla fine, se c'è quantità, che sia della partecipazione di gente ad una sagra o degli assaggi di un vino ad un banchetto, poi tutto viene sbandierato come un successo. Mentre il successo, e qui la Francia ha fatto scuola, è creare la giusta reputazione al nostro vino, che va servito a temperatura giusta e nei bicchieri adatti. Se l'Associazione Italiana Città del Vino avesse coraggio, darebbe le pagelle alle sagre che meglio valorizzano un prodotto, creando una sorta di virtuosa imitazione, utile quanto mai alla vigilia di un appuntamento dove il folclore da strapaese rischia di trascinare in basso la nostra reputazione.Non è questione di lana caprina, credetemi, è questione di rispetto per quella fatica, quell'apprensione, quel miracolo che ogni anni porta con sé il vino. Quanta fatica... che si rischia di perdere in un bicchier d'acqua.
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