Ogni tanto è bene mettere insieme gli avanzi e allestire un party con temi dissonanti, ma che sarebbe peccato buttar via. Così è per un Furio Colombo in ottima forma (“Fatto”, 14/11) che racconta del «male di cui le comunità umane stanno soffrendo ormai da anni: la tendenza e anzi il bisogno di frantumarsi per avere un nemico». I nazionalismi estremi hanno bisogno di un nemico permanente; di muri e filo spinato. «Da un lato sempre più gruppi e leader vogliono liberarsi da sentimenti di umanità per non sentirsi deboli e impreparati (...). Dall'altro sono in tanti a volersi separare da sentimenti di umanità e fratellanza, temendo di trovarsi nel punto sbagliato della storia». “Liberarsi”, “libertà” e “nemico”. «Nessuno ha il copyright della libertà», scrive Michele Serra nella sua rubrica “L'amaca” (“Repubblica, 14/11). Nessuno può «possederla», la libertà. E «per questo mette tristezza, e anche indigna, l'uso al tempo stesso protervo e puerile che di quel termine fanno i no-vax (...). La macchia di quei cortei è l'approssimazione indebita della libertà, ridotta a bandierina che ognuno può sventolare senza conoscerne il prezzo, il peso, la fatica». La “dittatura sanitaria” è «la costruzione di un nemico inesistente (...). Può gridare al liberticidio un profugo inchiodato al confine tra Polonia e Bielorussia, che non può avanzare né arretrare. Non chi ha il c**o al caldo, e la sanità gratis». Libero di credere in Dio, a modo suo, è Roberto Vecchioni. Aldo Cazzullo (“Corriere”, 14/11) gli chiede: «Come fa a essere sicuro della sua esistenza?». E lui: «Perché il mondo è imperfetto. Se fosse perfetto, senza un clinamen, senza deviazioni, allora non ci sarebbe Dio. Invece Dio c'è, perché ci ha permesso, con il libero arbitrio, di affrontare il male e il bene». Precipitando a terra, classico il refuso nell'intervista di Gaia Piccardi all'ex tennista Ilie Nastase (“Corriere”, 13/11). Nel testo: «Qui a Bucarest». Nel sommario: «Qui a Budapest». Nastase è romeno.
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