Il modo confuso e scomposto in cui è stata lanciata la questione del presidenzialismo nel dibattito pre-elettorale è purtroppo omogeneo al tenore complessivo della campagna in corso. Peraltro si andrà alle urne con una legge elettorale che tra liste bloccate, divieto di voto disgiunto e altri meccanismi convergenti è un trionfo della "partitocrazia" (termine che il populismo odierno ha reso paradossalmente desueto) e verrebbe da dire: mentre pensate all'elezione diretta del presidente della Repubblica, intanto fateci scegliere le persone da mandare in Parlamento...
Quando si parla di presidenzialismo bisognerebbe innanzitutto capire che cosa si intende con questo termine. L'elezione diretta del capo dello Stato vuol dire tutto e niente. Ci sono Paesi europei come l'Austria e il Portogallo in cui il presidente è eletto direttamente dai cittadini ma ha poteri meno incisivi di quello italiano. Perché si parli di presidenzialismo occorre che il presidente abbia anche il potere esecutivo. E qui, se si vuole restare nell'ambito dei Paesi di grande e consolidata tradizione democratica, il riferimento più immediato è agli Usa (che poi il presidente americano non è eletto proprio direttamente, ma in questa sede sorvoliamo). Se il potere esecutivo è parzialmente condiviso con un primo ministro, il termine che si usa è semipresidenzialismo, e il pensiero corre subito alla vicina Francia. Rispetto all'Italia, in entrambi i casi, è diversa la "forma di governo": quindi si tratterebbe di costruire un nuovo sistema, non di apportare correttivi a quello esistente. E bisognerebbe spiegarlo con onestà all'opinione pubblica.
Ci sarebbe anche da dire che sia a Parigi che a Washington il sistema vigente appare in forte affanno e, nel caso degli Usa, mostra crepe vistose. All'origine di questa crisi ci sono due fenomeni concorrenti: il manifestarsi di un'estrema polarizzazione economico-sociale con una forte connotazione ideologica e il venir meno di quel patto fondativo in virtù del quale si riconosce piena dignità all'avversario politico e si ammette l'esistenza di un terreno comune in cui tutti possono ritrovarsi al di là delle appartenenze di partito. Segnali di queste patologie sono purtroppo presenti anche nel nostro Paese, e quindi sarebbe ragionevole riflettere bene prima di innamorarsi tardivamente di questo o quel modello.
Del resto i sistemi istituzionali non si scelgono su un catalogo. L'analisi comparata è un'impresa seria, i fattori di cui tenere conto sono tanti. Anche la storia di un Paese, per esempio. Ci sarà pure un motivo se l'Italia e la Germania hanno adottato Costituzioni che mirano programmaticamente a evitare un'eccessiva concentrazione di potere in un uomo solo. Il tema è anche di stringente attualità perché i processi di verticalizzazione che sono in atto pressoché ovunque – come quasi sempre avviene nelle fasi di crisi – stanno provocando in non pochi casi vere e proprie torsioni in senso autoritario dei sistemi democratici, fino a stravolgerne la natura. In questo contesto l'ipotesi presidenzialista – comunque tutta da definire – rischia di essere un salto nel buio. Se l'obiettivo è rafforzare, rendere più efficiente, stabile e partecipata la nostra democrazia, non è necessario abbandonare la forma di governo parlamentare. Se invece gli obiettivi sono altri, allora il discorso cambia.
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