«Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c'è lì la lista dei prezzi: battesimo, tanto; benedizione, tanto; intenzioni di Messa, tanto... Il popolo si scandalizza». È da venerdì scorso che la denuncia del pretendere denaro da chi domanda un sacramento, fatta da papa Francesco, è centrale nel dibattito sui siti e blog italiani interessati alla vita della Chiesa.All'incirca uno ogni dieci cattolink che ho consultato in questi giorni vi faceva riferimento, e anche l'interesse degli utenti, dove era possibile misurarlo, appariva alto. Secondo una cattiva ma prevedibile dinamica, le posizioni espresse sono state spesso polarizzate tra chi ha trovato opportuno il richiamo del Papa – che del resto commentava il brano evangelico in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio – e chi l'ha trovato non opportuno e persino dannoso.È accaduto peraltro prevalentemente in Italia: ho dato un'occhiata alle principali fonti estere di informazione ecclesiale – in particolare anglofone –, e i centri di interesse erano decisamente altrove. In ogni caso, al netto delle letture pregiudiziali, bisognerebbe capire perché mai queste parole abbiano attratto tanto l'attenzione.Forse la risposta sta in una frase dell'equilibratissima intervista rilasciata da don Cristiano Marasca, parroco della cattedrale di Jesi, a Vatican Insider ( http://tinyurl.com/o96283z ): «La gente ascolta in tv le parole del Papa e pensa di non dover più contribuire in alcun modo. È un po' come è accaduto a ottobre per il dibattito al Sinodo dei vescovi sui divorziati risposati. La gente pensa che le norme siano cambiate», e si deve «spiegare che non è così».Ovvero: nell'era di Internet, il Papa e i vescovi possono, se vogliono, parlare direttamente al popolo di Dio: non solo saltando la tradizionale mediazione del presbitero, ma anche quella, “moderna”, del giornalista. Siamo preparati, gerarchia e popolo, a questo salto?
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