Una delle criticità più evidenti della proposta governativa sul premierato è l’assenza di un limite ai mandati consecutivi del presidente del consiglio eletto. Una lacuna tanto vistosa da non poter essere attribuita a una disattenzione, ammesso che siano concepibili delle distrazioni nella redazione di un testo così impegnativo. Né la materia è tale che si possa ipotizzare un’integrazione mediante legge ordinaria. Se quel limite non è previsto, insomma, è perché non lo si vuole porre. Forse in nome di quella sorta di mistica dell’elezione diretta che attribuisce a questo istituto la capacità di rendere democratica qualsiasi scelta o situazione in quanto unica espressione autentica della sovranità popolare. «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», è invece scolpito nel primo articolo della nostra Carta fondamentale, varata con la memoria ancora ben viva dei danni provocati dalle derive plebiscitarie novecentesche. Forme e limiti, appunto, senza i quali la democrazia rischia di trasformarsi nella sua caricatura. Elezione diretta e limite ai mandati sono strettamente collegati. E’ proprio l’elezione diretta a motivare la necessità di un limite. Come avviene per i presidenti di Regione e i sindaci. La legge 165 del 2004, attuativa dell’articolo 122 della Costituzione, stabilisce infatti il principio che le Regioni debbano prevedere la «non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto». Se il “governatore” viene eletto dal Consiglio regionale (come avviene per esempio in Valle d’Aosta) il limite non scatta. Il perché del legame tra elezione diretta e limite dei mandati consecutivi (non più di due) lo spiega in modo limpido la Corte costituzionale a proposito dei sindaci. Nella sentenza n. 60 del 7 marzo scorso, relativa a una legge della Regione Sardegna, la Consulta afferma che il limite ai mandati consecutivi dei sindaci è stato introdotto «quale temperamento ‘di sistema’ rispetto alla contestuale introduzione della loro elezione diretta». Citando poi una delibera del Consiglio di Stato, la Corte sottolinea che «la previsione di un tale limite si presenta quale “punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva”: sistema che può produrre ‘effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione”». Naturalmente, le dinamiche assumono una specifica rilevanza in rapporto ai livelli di governo considerati, ma l’idea del “temperamento di sistema” rispetto alla “concentrazione del potere in capo a una sola persona” ha una chiara valenza generale, come testimonia anche l’esperienza di altri Paesi europei.
Resta da capire che impatto avrà su questo aspetto della riforma costituzionale l’offensiva di “governatori” e sindaci di grande popolarità che chiedono insistentemente la possibilità di candidarsi per un terzo mandato. Dati i personaggi coinvolti in questo pressing trasversale, Giorgia Meloni sembra non avere alcun interesse ad assecondare la loro richiesta, anzi, i segnali sono in senso nettamente contrario. Ma sarebbe davvero arduo negare nelle Regioni e nei Comuni quello che viene consentito sul piano del governo nazionale.
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