“Povertà e maleducazione a Milano” Iniziamo ad alzare lo sguardo sull’altro
martedì 14 gennaio 2025
Caro Avvenire, ogni volta che torno in Italia, nella mia Milano, la povertà che vedo in giro è impressionante. C’è sempre più gente senza decoro. E poi le persone sono maleducate, arrabbiate senza un motivo, perennemente in competizione col prossimo e si sentono perciò titolate di non dovere rispetto ad alcuno. Lettera firmata Caro Avvenire, redistribuzione del reddito: chi ha di più deve dare a chi ha di meno. Può essere un concetto “giusto” se, effettivamente, chi ha meno ha fatto qualsiasi cosa per poter avere di più, ma se si è adagiato e si è affidato solo all’assistenzialismo statale diventa un concetto errato. Ai poveri bisogna dare opportunità, non solo assistenza. Stefano Scolafurru Novi Ligure Cari Lettori, associo due interventi complementari per accennare a un tema che merita analisi molto più approfondite. Se si scorrono gli ultimi rapporti del Censis sulla società italiana, vediamo che è stata definita di volta in volta “in crisi”, “in transizione”, “in latenza” e “di sonnambuli”. Che non tutto vada bene, pare dunque accertato. Ma come affrontare questa situazione che riguarda sia la povertà materiale sia un certo smarrimento morale? A Milano, come sottolinea l’interlocutore che vuole restare anonimo, esiste un problema di salari bassi rispetto al costo della vita, trainato in alto dalla situazione immobiliare ormai insostenibile per giovani e classe media. Di qui situazioni di indigenza che spesso è però mascherata dalla dignità e dalla compostezza. Quello che si nota, semmai, è il tramonto dei rigidi codici di abbigliamento del passato a favore di comodità e gusti personali che non di rado, qui concordo, fanno rima con sciatteria e cattivo gusto. Noto anch’io, da milanese, un declino dell’attenzione al prossimo, quasi che le persone non “vedessero” gli altri preoccupandosi soltanto del proprio piccolo mondo, spesso ristretto allo schermo dello smartphone: nel traffico come nei supermercati, nei cinema come negli uffici pubblici. Non siamo una società del sorriso – con tante lodevoli eccezioni – e tendiamo forse, mi perdoni, caro Scolafurru, a incolpare gli altri delle proprie difficoltà per non doverci sentire responsabili di condividere ed evadere così il dovere di aiutare. Certo, troppo assistenzialismo, come tutti gli eccessi, risulta dannoso sul lungo periodo. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che le miserie di oggi, misurate su una situazione per fortuna molto più prospera rispetto al passato, sono fatte anche di esclusioni culturali e sociali, dovute a condizioni strutturali e quindi non imputabili solo alle scelte individuali. In altre parole, come ha spiegato recentemente su “Avvenire” Francesco Riccardi, il disagio si trasmette di genitori in figli perché mancano le opportunità di migliorare la propria traiettoria esistenziale e si resta involontariamente confinati in un circolo di bassa istruzione, basso reddito e conseguenti stili di vita poco salutari in senso ampio. Abbiamo perciò bisogno di ritrovare lo sguardo sull’altro e i suoi bisogni, per riattivare dinamiche virtuose di generosità e socialità condivisa. Il volontariato cattolico non smette di farlo. Ma ciò non può essere un alibi. Mi ha colpito la rievocazione di un instancabile benefattore la cui identità è stata rivelata solo dopo la sua scomparsa: interveniva personalmente, con la massima discrezione, nei casi sfortunati di cui veniva a conoscenza e da tempo aveva avviato una piccola rete con una suora e la Casa della Carità a Milano. Veniva però sottolineato nelle cronache come non avesse trovato nella ricca borghesia cittadina altri che seguissero, anche in misura minore, il suo luminoso esempio. Ecco, cari lettori, rialziamo tutti gli occhi e impariamo a vedere, aprire il cuore e tendere le mani. In questo modo, le nostre strade appariranno meno tristi, arrabbiate e maleducate. Ciascuno potrà avere maggiori opportunità di una vita soddisfacente senza bisogno di dipendere dagli interventi pubblici (che tuttavia sono da preservare per le tante emergenze che chiedono ascolto e aiuti). Ad inizio anno, i buoni propositi vanno almeno formulati, senza cedere al cinismo imperante che li considera retaggi di un tempo superato. © riproduzione riservata
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