«Che non si muore per amore è una gran bella verità», cantava uno struggente Lucio Battisti. Il calcio è stato il grande amore della vita di Renato Curi, Piermario Morosini e Davide Astori. Piccoli eroi esemplari del pallone, caduti, come gli eroi epici, sul campo di "battaglia" (Astori nel sonno, prima della sfida di Udine). Il calcio era il grande amore anche del "bomber sfortunato": l'uruguagio Abdòn Porte. Per quattro anni, quelli della Grande Guerra in Europa, era stato l'idolo dei tifosi del Nacional di Montevideo. Poi all'improvviso la porta per lui si restrinse come la cruna di un ago. Per di più, «la malasorte continuava, la gente lo fischiava: in difesa gli scappavano via anche le tartarughe, in attacco non ne imbroccava una», così lo ricorda il maestro di storie di cuoio Eduardo Galeano. Fu quando gli tolsero il posto da titolare che si sentì perduto, abbandonato come un innamorato tradito. Era la fine dell'estate del 1918, nel cuore della notte Porte entrò nello stadio del Nacional in cui l'avevano amato, applaudito e poi rinnegato. E lì, proprio al centro del campo, si sparò un colpo. «Lo trovarono all'alba. In una mano aveva un revolver, nell'altra una lettera», parola di Galeano. Ogni volta che in uno stadio sento la folla accanirsi contro il giocatore affetto da "malasorte" ripenso al povero Porte, che alla fine si arrese. E non mi do pace.
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