Cambia il clima, cambiano tempi e modalità di coltivazione. Non si tratta di un'ipotesi teorica, ma della realtà che ormai può essere toccata con mano anche in Italia. Una trasformazione che conduce anche a cambiamenti economici di non poco conto. I mutamenti climatici, per esempio, hanno di fatto "rovesciato" il calendario di raccolta del pomodoro, con i coltivatori del Nord che hanno iniziato prima le operazioni rispetto ai loro colleghi del Mezzogiorno della Penisola. A rilevare la situazione è stata Coldiretti che, in occasione del via alla raccolta 2019 di pomodoro per pelati, polpe, passate, concentrato e sughi (cioè di alcuni dei prodotti d'eccellenza dell'agroalimentare nazionale), ha fatto notare come in campo siano scesi prima gli agricoltori di Lombardia ed Emilia Romagna: solo prossimamente inizieranno le stesse operazioni anche quelli di Puglia e Campania. Il cambio di clima, occorre subito notare, non ha solo capovolto il calendario ma ha anche abbattuto le produzioni dell'8% circa rispetto alle stime di inizio stagione; altro cambiamento importante, riguarda anche la distribuzione stessa delle produzioni con il Nord che ormai rappresenta la metà del totale della produzione nazionale di pomodoro. A conti fatti, poi, quest'anno i tecnici del comparto parlano di un possibile raccolto paria 4,7 milioni di tonnellate di frutti di «buona qualità». Ma, al di là delle situazioni contingenti, ciò che più conta è l'andamento di lungo periodo che il clima sta influenzando notevolmente e che coinvolge un comparto che vale una filiera che esporta poco meno di due miliardi di prodotto, coinvolge circa 7.000 imprese agricole, oltre 90 imprese di trasformazione e 10mila addetti. Detto in altri termini, per il pomodoro l'Italia è il secondo attore a livello internazionale dopo la California e prima della Cina ed ha il primato dell'Unione Europea davanti a Spagna e Portogallo. Guardando al mercato finale, oggi in Italia si consumano conserve di pomodoro per circa 30 chili a testa all'anno. Un mercato importante, quindi, che da qualche mese è reso di maggior valore dall'obbligo di porre in etichetta dei derivati l'origine della materia prima, ma che deve sempre di più confrontarsi non solo con la concorrenza (più o meno sleale di altri produttori), ma anche con i grandi mutamenti dei fenomeni climatici che, come si è detto, iniziano davvero a farsi sentire anche nei campi e che presto, quindi, potrebbero anche avere effetti sull'assetto delle imprese e sull'occupazione.
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