Il mondo dello sport è in lockdown. Fermo, come tutto il resto d'altronde, ma per quelle attività che hanno nella fisicità la loro manifestazione, beh, il problema è doppio. Il paragone possibile è con il teatro, anch'esso veicolo privilegiato di emozioni che passano attraverso la presenza, il contatto, fisico e intellettuale, i suoni, gli odori. Non è un caso che su teatro e sport si addensino le nubi più scure, sul presente, ma soprattutto sul futuro. Teatro e sport hanno in comune la performance dal vivo, realizzata in quel momento lì, errori o capolavori inclusi. Non è un caso neppure che proprio teatro e sport fossero manifestazione di cultura inventati, entrambi, nel mondo della Grecia arcaica, e avessero, entrambi, nella bellezza dei luoghi un valore aggiunto e un detonatore di ispirazione. Performers e pubblico, tanto nello sport come nel teatro si scambiano emozioni e se nel teatro il pubblico è coinvolto in forma catartica, vede riprodotto sul palcoscenico qualcosa che riconosce come potenzialmente proprio, nello sport addirittura il pubblico diventa protagonista della performance, con le sue coreografie, i suoi canti rituali.
Un intellettuale come Roland Barthes diceva: «In alcune epoche e in alcune società il teatro ha svolto un'importante funzione sociale: riuniva tutta la cittadinanza in un'esperienza comune, la conoscenza delle proprie passioni. Oggi questa funzione viene svolta, a suo modo, dallo sport. La popolazione però è aumentata, non si tratta più di una città, ma di una nazione, spesso anzi, per così dire, del mondo intero. Lo sport è una grande istituzione moderna che ha assunto le forme ancestrali dello spettacolo». Che enorme, infinita tristezza che praticamente del teatro non si parli (la sua funzione non si è certo esaurita nei tempi andati) e che, per ciò che riguarda lo sport, le attenzioni siano tutte (o quasi) catalizzate dal braccio di ferro fra il ministro dello Sport Spadafora e la Lega calcio.
Certamente il calcio di serie A è un'industria, certamente genera un'economia e un indotto, altrettanto certamente ci sono migliaia di lavoratori che vivono del calcio della massima serie, guadagnando in un anno quello che Cristiano Ronaldo guadagna in mezza mattinata, mattinate di pandemia incluse. Sono migliaia anche gli operatori del teatro e quegli attori che, diciamo così, anche prima mettevano nella lista delle loro priorità qualcos'altro rispetto al denaro. La Fase 2 ha bisogno di una riflessione gigantesca rispetto a tutto un mondo molto meno visibile del campionato di calcio di serie A e che è fatto da una rete di migliaia e migliaia di società, di milioni di persone (atleti, dirigenti, arbitri, volontari) che hanno tenuto in piedi lo sport di questo Paese, che spesso hanno generato, a partire dagli oratori o da improponibili palestrine, gente che magari ci ha fatto piangere di gioia ai Giochi Olimpici. Serve pensare a questa rete, oggi. Serve costruire una strategia per il domani, oggi. Serve dare a tutti loro una speranza, oggi. Magari iniziando la riflessione proprio dai luoghi dello sport (e del teatro). Perché, per esempio, non pensare a un lavoro di riconversione di grandi spazi naturali o di parchi cittadini che possano diventare collettore di eventi sportivi o teatrali, luogo di pratica, di allenamento, di cultura, di performance fisica e intellettuale. Guardando a un presente e un futuro che ci digitalizza sempre più, sarebbe una nuotata nel mare pulito, una connessione con un passato da cui proveniamo, della cui sostanza, in qualche maniera, siamo fatti e chi, almeno una volta nella vita, ha passeggiato a Taormina, a Epidauro, a Olimpia, a Delfi o a Paestum ha tutto ben chiaro.
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