Nel film “Fuga per la vittoria” John Huston racconta di una partita di calcio, disputata nel 1943, alla periferia di Parigi tra una formazione di nazisti e i loro prigionieri. In realtà quella sfida davvero vitale si giocò a Minsk, e un'altra ancora a Biella, una domenica d'ottobre del '43. E il Pelè della formazione italiana era Silvio Piola, il più grande e il più longevo dei cannonieri nostrani di tutti i tempi (chiuse nel Novara a 41 anni con 290 gol in carriera). Silvio, l'«ottavo re», nella Roma di sponda laziale, nel luglio del '43 con un viaggio rocambolesco tornò a casa, a Vercelli, la città in cui era cresciuto ed esploso con la maglia dei “Bianchi”. Da campione del mondo del '38 affrontò quella sfida coi tedeschi che subirono l'assalto della rappresentativa dei fuggiaschi italiani. Un 8-1 perentorio per i nostri. I tedeschi se la legarono al dito, perciò quando un ufficiale del Terzo Reich di stanza a Vercelli andò a bussare ripetutamente a casa Piola la madre di Silvio rimase paralizzata dallo spavento. Temeva per la vita del figlio. Piola alla fine uscì, era pronto a consegnarsi. Ma quel soldato era Platzer, il portiere della nazionale austriaca al quale, nel 1935 a Vienna, il bomber al debutto in azzurro aveva segnato due reti. Era lì solo per rivedere il «campione», per abbracciarlo come si fa tra avversari in campo, che neppure la guerra può trasformare in nemici.
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