mercoledì 10 ottobre 2018
Luigi Picchi (1969), poeta e docente che vive a Como, con Antiqua lux (Moretti & Vitali, pagine 104, euro 12) rende omaggio ai due comaschi più illustri, Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, rispettivamente zio e nipote. Un omaggio davvero originale, che nel proemio presenta un monaco che ha trascorso la vita in convento, intento a ricopiare i trentasette libri della Storia naturale di Plinio il Vecchio, e finalmente può offrire a Dio la fatica del suo diuturno lavoro. È lo stesso Picchi, quel monaco? Senz'altro gli somiglia. Il poeta compie sull'epistolario di Plinio il Giovane un'operazione di ripensamento e riviviscenza analoga al «restauro creativo» che Eugène Viollet-le Duc compì nell'Ottocento per la facciata della cattedrale parigina di Notre-Dame, ma senza le forzature di Viollet, che resta pur sempre un antesignano dell'architettura moderna (a Milano nel Castello sforzesco, abbiamo la Torre del Filarete che Luca Beltrami ricostruì nel 1905 interpretando i disegni dell'architetto quattrocentesco). Le lettere di Plinio, debitamente citate, non sono né tradotte né reinventate, diventano poesie di Picchi à la manière de; l'antico è raccontato in terza persona, perfino con esattezza geografica. Chi ha dimestichezza lariana, per esempio, riconoscerà in IV, 30 la cascata intermittente studiata da Plinio, accanto alla villa che da lui prende il nome (Villa Pliniana, appunto, in località Torno), sontuosa dimora cinquecentesca ora divenuta albergo di lusso. Nell'Ottocento il principe Belgioioso, marito fedifrago di Cristina Trivulzio, nobile patriottica protagonista delle Cinque giornate di Milano, ne fece dimora di delizie con l'amante; Fogazzaro vi ambientò Malombra, tradotta in film da Mario Soldati nel 1942, protagonista Isa Miranda. Ebbene, Picchi-Plinio descrive la fonte così: «C'è una fonte che tre volte / al dì cresce e si svuota. // A metterci un anello sul fondo / a poco a poco vien sommerso / e poi è nuovamente all'asciutto. // Funziona come la corrente / d'un fiume rallentata / nel suo estuario? // Un gioco di maree? // O esiste un bacino / che, svuotato, riattiva la fonte, / mentre, pieno, la spegne?». Domande che il naturalista Plinio il Giovane si poneva, senza trovare risposta. La seconda parte del libro è dedicata a Octavius, noto soltanto come destinatario di lettere di Plinio. Ottavio, nonostante le sollecitazioni dell'amico, è renitente a pubblicare i suoi versi: «Hai ragione, ma come foglie / di Sibilla al vento, come polline / per api dorate sono i brevi/ miei carmi». Peccato, perché i versi dedicati a Valeria meriterebbero diffusione: «Il tuo viso, Valeria, / è avorio nel gioco / della lucerna / e a me non resta / che scrivere un epigramma / alla tua malinconia». Il libro si conclude con una Profezia di Lucrezio, l'autore del De rerum natura che Cicerone si incaricò di pubblicare postumo. Nella poesia, Lucrezio rivendica di non essersi suicidato in un accesso di follia, bensì per aver visto l'assurdità del Vuoto cosmico. Precipitato nel Limbo, verrà salvato dall'Atteso, in redenzione cristiana retroattiva. La postfazione di Giancarlo Pontiggia dice molto bene tutto quello che c'è da dire di una poesia rischiarata, come il titolo del libro, da una luce antica. Ne trascrivo la conclusione: «Mi chiedo se questo libro così originale, così inattuale potrà esser letto adeguatamente, non dico amato, dai nostri contemporanei: ne dubito, anche se la storia della poesia è a volte sorprendente, e può sovvertire da un momento all'altro ogni pronostico. Quello di cui però sono convinto è che difficilmente, nei prossimi decenni, ci capiterà di leggere un libro di poesia fondato su paradigmi rigorosamente storico-culturali, così alieno dai lirismi e dai soggettivismi cui ci siamo abituati nell'ultimo secolo: un libro che giunge inatteso, per un lettore che forse ancora non c'è, ma che proprio questi versi sembrano esigere nella loro spoglia radicalità».
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