Mi racconta lo scrittore Roberto Barbolini che, nella sua terra d'origine modenese, circola il detto «Se un uomo è meno di 100 kg non è un uomo». Ebbene il mio amico Sergio Biggiogero a vent'anni era un quintale di muscoli e di lì a poco sarebbe diventato, nel pugilato, campione italiano dei pesi massimi. L'ho visto vincere un paio di incontri e, non si crederebbe, avveniva in modo cavalleresco e pulito. Confesso di provare un certo interesse per il pugilato, ma solo per i massimi. Sono solenni come cattedrali e le loro braccia sono come travi. Era quasi curioso vedere il campione sul ring, dopo il suono del primo gong, farsi il segno della croce, con la manona chiusa dentro il guantone. Era come chiedere che si esercitasse la forza ma non la violenza. Il segno della croce vissuto come un ossimoro di verità. Quando combatté per il titolo europeo, stava per mettere KO l'avversario ma non volle infierire, così l'incontro finì con un pareggio che confermò il campione in carica. Il nostro pugile lasciò il pugilato, non voleva accedere alla violenza. Aveva 24 anni e si era una cinquantina di anni fa. Sono rimasti amici lui ed il campione dei massimi della Spagna, avversari leali. Una volta all'anno si incontrano ed entrano regolarmente insieme in una chiesa, dove fanno il segno della croce, questa volta senza i guantoni. Come in una storia di Hemingway, quintale per quintale.
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