Robert Cheaib, teologo e scrittore, ha molta familiarità con l'ambiente digitale. Al momento ha un blog, "Briciole di teologia", e un omonimo canale Telegram con quasi 2mila iscritti; un profilo Facebook con 13mila follower; un profilo Instagram con 3mila e cinquecento follower; un canale YouTube con 8mila iscritti. La sua popolarità sulle vie digitali non l'ha tuttavia trattenuto dal decidere di ritirarsi da tempo da Messenger, e ora anche da WhatsApp. La decisione viene spiegata e argomentata in un video ( bit.ly/2FK6vWO ) visualizzato finora da quasi 7mila persone e commentato con empatia da più di un centinaio di loro, pur avendo il bel sapore di una «condivisione personale». Cheaib racconta diversi perché di questa scelta. Ma nell'insieme mi pare che essi ruotino tutti intorno a un debito di onestà che egli sente di avere verso le persone che, nel mondo digitale, chiamiamo amici o follower (cioè seguaci), ma che non possono, realisticamente, essere trattati tutti e sempre come la parola «amicizia» richiederebbe e come talvolta qualcuno di loro pretende. Chaib parla di come WhatsApp alimenti l'ansia comunicativa; della nostalgia di quando le comunicazioni a distanza (ovvero: le lettere) non ci condannavano all'immediatezza; della preferenza per uno strumento digitale ormai antico, l'email, che tuttavia conserva, rispetto alla messaggistica istantanea, una sua formalità; della necessità di rendersi conto che le persone non possono e non devono essere sempre disponibili. Siamo fatti per pochi, dice citando un suo maestro, e ricorda che anche per Aristotele chi ha tanti amici non ne ha nessuno. Non è questione di essere elitari, ma della necessità di rispettare una gradualità di disponibilità e di presenza. In sostanza: «La vita è troppo breve per passarla su WhatsApp», ovvero: alimentare la propria popolarità attraverso i social non vale il prezzo di certe rinunce.
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