Monsignor Viganò, che nella Santa Sede guida la Segreteria per la Comunicazione, ha rilasciato sul numero di agosto di Prima Comunicazione (storica testata specializzatissima in notizie, dati e analisi sul sistema dell'informazione) un'intervista, divenuta storia di copertina, nella quale parla anche di Chiesa e web. Quel poco che ne riporta il sito (tinyurl.com/haps58e) attira già, per evidenti ragioni, il mio interesse. Nel digitale, dice, «noi, cresciuti secondo modelli pedagogici dell'epoca tipografica dove il sapere aveva un andamento lineare, logico-argomentativo... ci troviamo spesso in difficoltà». Grazie poi a Gigio Rancilio, responsabile "social" di questo giornale, che l'8 settembre ne ha rilanciato sul suo account Facebook (tinyurl.com/znmfc6b) altri brani (preziosamente commentati dai suoi "amici"), apprendo che tale giudizio segue un esempio esplicito: «Del 100% delle persone che ricercano una parola su un motore di ricerca, solo l'1% è disposto a passare dalla prima alla seconda pagina. Se cerchiamo parole come Santo del giorno o Vangelo della domenica, nella prima pagina non compare alcun sito vaticano. Se si cerca la parola Angelus o papa Francesco siamo oltre il quarto risultato tenendo conto che il 55% dei ricercatori in Rete si ferma ai primi tre».Insomma: se chi cerca qualcosa in Rete lo fa usando Google, e se le cose del Vangelo, della nostra vita di fede, della Chiesa eccetera sono difficili da trovare, ciò accade perché le diciamo in modo che non si capiscono, non si riconoscono. Dentro, ma anche fuori dall'ambiente digitale (ma c'è ancora un dentro e un fuori?). Penso a cosa mi prende di più dei siti e blog ecclesiali che consulto ogni giorno e dei quali qui cerco di riferire. Penso anche ai moderni "predicatori" dei quali leggo più volentieri i libri. E mi viene da dire: insistiamo a raccontarle in concreto, quelle cose. Partiamo dalle storie. Scriviamo "parabole", come le chiama efficacemente Luigi Accattoli. Sospetto che, se toccheremo i cuori, ci acchiapperanno anche gli algoritmi.
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