martedì 21 settembre 2021
Tra due giorni, il 23 settembre, cadrà un anno esatto dalla presentazione del nuovo "Patto sulla migrazione e l'asilo", che la Commissione europea ha proposto a Parlamento e Consiglio Ue, per riformare le procedure di accoglienza e per trovare un nuovo equilibrio distributivo fra gli Stati membri. Evitando che il peso principale delle continue emergenze migratorie cada sulle spalle dei Paesi di primo arrivo. Ma anche garantendo canali di accesso legali e al riparo dai "mercanti di uomini".
Dodici mesi dopo la pubblicazione di quel documento, che doveva segnare "un nuovo inizio" in materia, non si è fatto nessun vero passo avanti per tradurre parole e intenzioni in fatti concreti e, soprattutto, solidali. Lo ha ammesso, a denti neanche troppo stretti, la presidente dell'esecutivo di Bruxelles von der Leyen, nel suo discorso sullo "stato dell'Unione" pronunciato mercoledì scorso.
"Fräu" Ursula si è espressa con ottimismo, a tratti con orgoglio, su numerosi argomenti del suo "rapportone" annuale: dalla sanità (lotta al Covid in primis) all'economia, dal digitale all'ambiente, dai giovani al lavoro. Ma quando è passata alla questione migratoria gli accenti si sono attenuati, il tono complessivo è apparso molto più prudente, quasi dimesso.
In realtà, già il modo in cui ha aperto il capitolo era rivelatore. La presidente è partita dalla recente offensiva del regime bielorusso alle frontiere della Polonia e dei vicini baltici, operata a colpi di profughi sospinti a forza entro i loro confini. Un approccio, per così dire, sulla difensiva, in chiave di tutela delle nostra frontiere esterne. Che ovviamente vanno protette, certo, specie se "di fronte a un attacco ibrido per destabilizzare l'Europa". Ma l'emergenza umanitaria? E il dopo-Kabul?
All'Afghanistan, nel capitolo migrazioni, von der Layen non ha neppure accennato. L'aveva fatto in precedenza, parlando di scenari geopolitici e di competizione internazionale, di difesa comune e di armamenti (per inciso, ha suggerito perfino l'esenzione dall'Iva sugli articoli bellici prodotti nell'Unione!). E ha confermato i 100 milioni in più di aiuti Ue per la popolazione rifugiata nei Paesi limitrofi, oltre a un futuro "più ampio pacchetto di sostegno".
Su aperture a nuovi arrivi da Kabul e dintorni, però, neppure un cenno. La ragione si è capita più avanti. «Sulla migrazione – ha detto – in Europa ci sono molti pareri, vigorosamente sostenuti», anche se ha aggiunto di credere «che il terreno comune non sia tanto lontano da raggiungere». Purtroppo i fatti non sembrano darle ragione. E l'impressione è che, anche in futuro, non gliene daranno.
La numero uno della Commissione, è vero, ha esortato l'Europarlamento e gli Stati membri ad accelerare il processo di riforma su migranti e rifugiati. Personalmente si è detta convinta che gli europei, in maggioranza, sarebbero disponibili a un'accoglienza ordinata e regolare. Ma poi ha aggiunto che il problema di fondo è la "fiducia": fiducia, ha elencato, tra i Paesi membri, fra i cittadini e verso la stessa Europa e la sua capacità di restare all'altezza dei suoi doveri storici.
La fiducia è un lusso che in questi tempi ferrigni la Ue non si può permettere. Peccato per i migranti e per chi se li trova per primo in casa. Peccato per il diritto fondamentale a trovare asilo quando si fugge da guerre e persecuzioni. Nell'Unione vale la "Rule of law", ha ribadito VdL, cioè lo Stato di diritto. Ma non di tutti i diritti.
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