Ogni vita è un’incompiuta che la morte suggella e consegna al giudizio. Nell’incompiutezza l’arte è sommatoria infinibile di contrasti insanabili, una tensione dello spirito che ha nella materia il suo sbocco obbligato. Un continuo attraversare, varcare e ritrarsi, il limite che separa lo spazio del sacro dal mondano, il naturale dal sovrannaturale. Tutti gli esseri umani, persone, godono e soffrono la paternità e la maternità, indipendentemente dalla forma che daranno alla propria esistenza, in quanto figli. Paternità e maternità sono il sublime da cui muove l’arte e alla procreazione tutto sulla terra è sottomesso. Agenti del sacro sono sacerdoti e monaci e liturgia dei sacramenti e delle ore è il loro ambito e compito. Tra la potenza e lo splendore della liturgia, che anticipa e richiama i Cieli attestandone anelito e distanza, e il perpetuarsi del mistero della vita in ogni non ancora-nascente-nato al mondo, sta lo spazio dell’arte e la sua storia. La bellezza è ciò che la qualifica, la verità la rende doverosa e indispensabile. Decadendo la liturgia a formulazione antigerarchica e piatta e riducendo a genetica il nascere si fa tabula rasa dell’arte; resta un proliferare di spazi espositivi, una fumosa verbosità, in cui una marea oggettistica consola la propria pretesa certificandola con prezzi esosi. Una civiltà che si è affacciata alla storia con graffiti propiziatori alle potenze percepibili, affinata ed innalzata da un artigianato eccelso e un pensiero ragionevole, è culminata nell’apoteosi dell’arte e sull’artista è crollata. Una disfatta che è odio di sé e della propria storia. Sia scoraggiata l’arte, con amore e benevolenza in tenera età, poi osteggiata. Si incoraggino i giovani nell’artigianato, nel sapere materiale, nelle capacità manuali. L’idea del libero sviluppo artistico delle personalità, tanto cara alla mia generazione da essere diventata dogma, si presentava, in teoria, soluzione ovvia e perfetta a molti mali che affliggono l’umanità. Basta guardarsi intorno: faccia a faccia con individui la cui personalità si è sviluppata liberamente, per non perseverare, oltre. Per quanto deteriorato, disprezzato od osannato comunque a rischio di scomparsa, qualsiasi paesaggio è, in Italia, infinitamente più artistico di ogni esposizione d’arte contemporanea. Motivo e causa di questo stato di grazia era la Chiesa Cattolico Romana, la sua onnipresenza. Da che l’arte non ne fa più il suo paradigma in quanto spazio rivelato, indagabile all’infinito ma inamovibile, e spazio storico soggetto a continua verifica, l’arte, da queste parti, non ha e non trova ragione d’esistere. Se il sacro sparisce, sparisce l’arte. Se la Chiesa Cattolica riduce la liturgia a funzione assembleare, bramosa di orizzontale ed appagata in questo, si rende estranea e superflua all’arte oltre a rendere un pessimo servizio agli uomini, a cui non resta che snocciolare incrementandola la sequela dei diritti. Mal si coniuga ai diritti l’arte essendo selettiva e gerarchica, determinata dal merito, dall’accedere a un tempo in cui chi la forgia è sempre contemporaneo a chi la sta ammirando. Molto severa nell’essere veritiera proclama il suo disprezzo per la democrazia che vale nelle faccende della politica, spazio vitale ma piccolo, non summa dell’umano operare. Una testa un voto è l’esatto opposto dell’arte, ne è contraltare e bilancia. L’arte non si insegna a chi non vuole imparare ma non si impara se non se ne è posseduti. E’ una benedizione che sconta molte maledizioni e quando si manifesta si può solo contemplare.
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