Le giornate s’allungano ed aumentano le cose da fare attorno casa; il teatro equestre s’avvia al suo debutto e i cavalli vanno lavorati quotidianamente, sessioni di allenamento, figure sceniche, ma bisogna anche rilassarli, svagarli, godere insieme della rigenerazione stagionale. Un richiamo potente arriva dai crinali e le valli: un invito ad uscire a zonzo per quanto è bello il mondo. Sono ricominciati i concerti e di colpo un’altra storia si materializza occupando tutto lo spazio disponibile, travolge la scansione naturale delle ore e impone la propria: si comincia a suonare quando sarebbe ora di andare a dormire, a seguire il dopoconcerto, le chiacchiere, i convenevoli, gli amici, e si va a letto quando ci si dovrebbe alzare. Fatica fisica, a volte psichica, affrontata a cuor contento; ondate di ricordi, ritmiche emozionate da un’energia che rimbalzando tra palco e pubblico crea la magia dello spettacolo: un’esperienza che nessuno strumento di registrazione è in grado di riprodurre nella sua interezza. A tutto questo va sommata la necessaria attenzione che la socialità, comunque, richiede e ogni altro impegno più strettamente personale. Anche un’esistenza colma di attività, per quanto necessarie e gratificanti, può fomentare un disagio profondo, generare il vuoto. Lo so, l’ho sperimentato, ho già cercato di colmarlo nei modi più diversi. È il mistero della vita che ci avvolge, ci nutre, ci dissolve. C’è un’infinitesimale parte di ogni essere che anela ad altro, ad una compiutezza che non possiede ma di cui percepisce mancanza. Più facile da evidenziare nel tempo del dolore quando reclama a gran forza la propria centralità ma affiora, in attesa, nei momenti di gioia come consapevolezza della fragilità, caducità di ogni esperienza umana. Misura del nostro valore e della nostra potenza. L’essere, il riconoscermi, parte della tradizione vivente della Chiesa cattolica è la sola risposta razionale, emotiva, fisica che io conosco; verità che illumina la condizione umana in rapporto a ciò che è stato, ciò che è, sarà. Dà senso alla creazione, alle creature, al firmamento, all’alba e al tramonto. Dà senso al mio vivere, molecola di pulviscolo tra spazio e tempo. Non posso, anche volendo, annoverarmi tra i cattolici adulti, sono stato un bambino cattolico e solo di questo so; crescendo ho sperimentato rivolta ed abbandono e sono esperto in peccati, nient’altro. Anche la mia intelligenza, la mia sete di conoscenza, sconta limiti macroscopici a cui nel tempo mi sono pure affezionato. Il mistero dell’Incarnazione mi sovrasta, contemplarlo mi annichilisce la mente, ma mi inonda di gioia, mi fa genuflettere. Dovessi scegliere fra tutte le figure del Vangelo vorrei essere un pastore adorante sullo sfondo. Il magistero della Chiesa, la Cattedra di Pietro, sono per me necessità ineludibile, argine alla dissoluzione, limite al vuoto, al senza senso. Mi preparo al precetto pasquale, avviarmi al confessionale non è meno impegnativo del preparare un lungo viaggio ma il sacramento della Riconciliazione è l’unico accesso, che io conosco, alla vita nella sua interezza.
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