Nelle parrocchie, nelle comunità religiose e negli organismi che affiancano le opere ecclesiastiche " Caritas in prima fila " passa il crocevia delle grandi e delle piccole iniziative di solidarietà e di sostegno agli immigrati. Gli ambiti ecclesiastici offrono tuttora l'occasione di una prima occupazione lavorativa a colf, badanti, manovali di varia capacità, in cerca di una sistemazione economica anche provvisoria. Grazie alle parrocchie ed enti ecclesiastici diversi immigrati hanno trovato una regolare occupazione con tutte le tutele stabilite dall'assistenza e dalla previdenza (Inps ecc.).
Tuttavia per i sacerdoti e per altri responsabili coinvolti nella sistemazione di persone immigrate è forte la tentazione di poter accantonare l'osservanza delle regole imposte dalla legge, sostituendola con il buonismo delle intenzioni, con la carità tutta fatti e senza i fastidi della burocrazia, con la solidarietà comunque e senza paletti.
La recente sentenza della Cassazione n. 7380/2010 ricorda ora ai datori di lavoro che danno occupazione a lavoratori extracomunitari che il buonismo di maniera, fuori dei binari della legge, è soggetto a censure e sanzioni. Il fatto di dare un'occupazione ad un immigrato in posizione irregolare non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di versare i contributi alla previdenza sulle retribuzioni comunque dovute al lavoratore. Senza contare che l'occupazione di manodopera clandestina è colpita dalla reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5 mila euro per ogni immigrato non in regola con le disposizioni del Testo unico sull'immigrazione.
Il chiarimento della sentenza parte dal presupposto che anche agli immigrati irregolari è dovuta (quando dovuta) la giusta retribuzione e dall'obbligo retributivo del datore di lavoro discende automaticamente il suo obbligo contributivo.
Il sistema della legge, che già stabilisce la nullità dei patti che intendono sfuggire agli obblighi previdenziali, non prevede alcuna esenzione anche in caso di occupazione irregolare. A meno di non alterare il mercato del lavoro e della concorrenza consentendo che situazioni lavorative irregolari alla fonte siano per questo escluse dai doveri previdenziali dei datori di lavoro.
Stranieri rimpatriati. In caso di rimpatrio l'immigrato conserva i diritti previdenziali maturati, potendo utilizzarli a partire dai 65 anni di età, sia gli uomini sia le donne, per ottenere le pensioni italiane, anche se i contributi maturati non raggiungono il minimo di 20 anni.
Fino al 2002 è stata in vigore la restituzione agli immigrati dei contributi versati in Italia e con un interesse del 5%. La Cassazione (sent. n. 6340 del 16 marzo scorso) ha precisato, per la prima volta, che la facoltà di chiedere la liquidazione dei contributi, versati all'interno degli anni tra il 1998 e il 2002, è subordinata alla cessazione dell'attività lavorativa in Italia ed al trasferimento all'estero avvenuto con carattere definitivo.
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