Mi viene spontaneo leggere in sinossi due post che ho visto in questi giorni: uno di Laura Silvia Battaglia, collega giornalista, pubblicato sul suo profilo Facebook ( bit.ly/2PdLLZo ), e uno di Giovanni Barrani, seminarista della Fraternità sacerdotale san Carlo Borromeo, uscito in ottobre sul sito della Fraternità ( bit.ly/34c8wkr ) e ora anche su “Aleteia”. Si distinguono per il profilo degli autori: l'una donna, laica e sposa; l'altro uomo, chierico e celibe. E anche per l'occasione che ha suscitato i loro scritti: per lui la visita settimanale a un ospizio comunale, impegno regolare interno al suo percorso di formazione; per lei il ricovero improvviso del marito in ospedale, a motivo di una grave emergenza. Eppure eccoli entrambi testimoniare di quale sguardo si è capaci quando ci si lascia guidare dal senso di fratellanza. Giovanni Barrani è colpito dallo «stridore tra l'immagine trasandata di molti anziani quando mi si presentano davanti e i loro visi, curati e sorridenti, nelle vecchie foto che tengono sul comodino», e aiutandosi con la fantasia fa perno sulle immagini del passato per intendere la dignità presente e futura della loro condizione di figli di Dio, prima di sentirsi a sua volta riconosciuto «amico» nel Signore. E comprendere che «l'intensità di un rapporto non si misura dalle parole ma dal modo con cui guardi e sei guardato dall'altro». Laura Silvia Battaglia ha la mano nella mano della persona amata ma idealmente stringe anche quella delle «dieci vite» che le «passano accanto»: uno «contempla» l'anziana madre «mentre torna bambino e ha paura della morte», uno si lascia compiacere dal «sorriso generoso» che la «badante sudamericana gli regala», un'altra, «gli occhi azzurrissimi velati di lacrime», si attacca al telefono «in cerca dell'ultimo numero composto» e un'altra ancora ha invece «gli occhi nerissimi» e, sola, «soffre con dignità», meritandosi, come gli altri malati, il nome cristiano di «sorella».