Può darsi che sia presunzione, ma mi è sembrato che le due interviste – uscite, forse non a caso, contemporaneamente in Argentina e in Germania nei giorni scorsi – al Papa in carica ( http://tinyurl.com/nlswncr ) e al Papa emerito ( http://tinyurl.com/kgrjzdl ) abbiano dato ragione all’idea, formulata qui domenica, che si debba leggere secondo il «rinnovamento nella continuità», e non secondo la «rottura», il pontificato di Francesco rispetto a quello di Benedetto e degli altri predecessori. Ed ecco che, tra quel 20% di link che, a ogni tornata di rassegna stampa, si disperdono ciascuno su un singolo argomento, ne trovo uno che sostiene questa continuità, e su di un punto che giudico cruciale per il rapporto tra la Chiesa e la cultura contemporanea.Parlo della «purificazione della memoria», ovvero della «domanda di perdono» della Chiesa per le colpe del passato. Giovanni Paolo II, non senza contrasti, costituì quel segno come uno dei punti qualificanti del Grande Giubileo. L’allora cardinal Ratzinger prima vi contribuì con la sua visione prudente, poi se ne assunse in pieno la responsabilità, pronunciando la «confessione delle colpe nel servizio della verità» durante il rito del 12 marzo 2000, infine da Papa la fece propria rispetto alla pedofilia del clero.Dal canto loro, le Chiese locali aderirono un po’ rapsodicamente a tale disegno. Ora Giorgio Bernardelli su "Vatican Insider" ( http://tinyurl.com/qj3mwlb ) ci racconta che invece, nel corso della prossima visita di Francesco nelle Filippine (gennaio), saranno proprio i vescovi, i sacerdoti e i religiosi di quel Paese a chiedere perdono «per le colpe commesse come guide della Chiesa», e che tale segno corrisponde a una sensibilità già conosciuta nel cardinal Tagle, arcivescovo di Manila. Del resto, il bellissimo tema della visita, assai bergogliano, si presta: «Misericordia e compassione».
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