Chissà se nella "nuova Europa" che Monsieur Macron e Frau Merkel vorrebbero disegnare a partire dai prossimi mesi figura anche uno sguardo attento rivolto verso Sud? In direzione, cioè, anzitutto del mare Mediterraneo e poi di quel Continente grande circa tre volte il nostro, che risponde al nome di Africa e che su quel mare si affaccia, lambendo in certi punti molto da vicino il territorio dell'Unione? Non sono domande retoriche. Perché un progetto di rilancio davvero ambizioso della grande costruzione avviata 61 anni fa non può prescindere da un'adeguata visione geopolitica. Sempre, s'intende, che gli ideali di pace, di progresso e di solidarietà fra i popoli, alla base dell'idea originaria, rimangano ancora la bussola principale di riferimento.
La storia cammina veloce e realtà che negli anni '50 sembravano immobili e non degne di particolare attenzione oggi si affacciano con crescente protagonismo alla ribalta internazionale. Si pensi al recente accordo firmato il 21 marzo scorso a Kigali, in Ruanda, da 44 Paesi della Ua (l'Unione africana), per la creazione di una zona di libero scambio e di un mercato unico da far partire entro quest'anno. Certo, è un'intesa ancora in buona parte acerba, alla quale non aderiscono ancora Stati importanti come la Nigeria. Ma resta pur sempre il segnale di una volontà di affrancarsi da forme più o meno striscianti di neocolonialismo, che l'emergenza migratoria non riesce a cancellare.
D'altra parte, gli esperti segnalano da tempo che la sabbia, nelle clessidre demografiche dei due continenti, scorre a velocità molto diverse. Limitandosi solo alle due sponde del Mediterraneo, un recente rapporto dell'Osservatorio parlamentare di politica internazionale segnala che nei prossimi trent'anni la popolazione dei Paesi Ue rivieraschi diminuirà del 2 per cento, mentre quella degli Stati africani aumenterà di quasi il 50 per cento. E se oggi i cittadini europei che vivono nel Mediterraneo superano ancora la metà del totale, entro il 2050 il "sorpasso" ad opera di Medio Oriente e Nord Africa sarà largamente compiuto. Quanta considerazione c'è di simili fenomeni nelle ipotesi di revisione dell'Unione allo studio sull'asse Parigi-Berlino?
Tutto ciò, è ovvio, non implica assolutamente una sfida, semmai sollecita uno sforzo di creatività politica all'insegna dell'amicizia e della collaborazione. Non a caso, è proprio questa la "cifra" dell'iniziativa annunciata a fine marzo in Libano dal presidente della Cei Gualtiero Bassetti: entro la primavera dell'anno prossimo, i vescovi di tutti gli Stati affacciati sul Mediterraneo si riuniranno per un incontro di riflessione e di spiritualità, richiamandosi all'intuizione profetica di Giorgio La Pira, che vedeva il Mare Nostrum come un grande "lago di Tiberiade", molto più ponte di comunicazione tra i popoli che confine geografico.
È verosimile che a tale appuntamento non mancherà il contributo del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (il CCEE), ossia l'organismo che riunisce i rappresentanti ecclesiali di 45 Paesi del Vecchio Continente, o almeno della Comece, che è la Commissione più "ristretta" dei soli episcopati comunitari. E allora viene da chiedersi se un'occasione del genere, comprese le sue tappe preparatorie, non meriterebbe un orecchio particolarmente attento da Bruxelles e dalle altre capitali che stanno pensando a come difendere la Ue dalle sirene neonazionaliste.
Al solito, l'ostacolo a un simile gesto di intelligente umiltà potrebbe venire dal timore di farsi influenzare da etichette "religiose" cristiane, quelle che lo sciagurato preambolo al Trattato di Lisbona ha messo all'indice. Rischio alto, specie in Francia, dove l'inquilino dell'Eliseo sembra particolarmente attento a non violare quella che Rémi Brague ha definito la "vacca sacra" della laicità, mentre non lesina sguardi sempre molto cùpidi sull'ex impero coloniale transalpino in terra d'Africa. Ma così si finirà per trasformare sempre più l'auspicato "mare di pace" in un abisso di conflittualità senza sbocchi.
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