Prima, lo scorso maggio, la riunione del Plenum del Csm dedicata a Giovanni Falcone, alla presenza del Presidente Sergio Mattarella; ieri, a 25 anni esatti dalla strage di via d'Amelio, quella dedicata a Paolo Borsellino. Pubblicando documenti poco noti su due magistrati-simbolo, il Csm rende onore al loro impegno, riconosce la bontà del metodo organizzativo da essi
praticato, li indica e li accomuna come esempio, così come sono accomunati in molte piazze, vie, scuole, opere e servizi pubblici in ogni parte d'Italia.
E non saranno certo l'"oltraggio ignobile" (la decisa espressione è del Capo dello Stato) al busto di Falcone, o quello alla stele che ricorda Rosario Livatino, a intimidirci. Alla risposta dello Stato e delle istituzioni deve però affiancarsi quella della società civile, almeno della parte che voglia essere davvero tale. La risposta delle istituzioni, poi, deve essere completa e convincente, non solo perché, come è stato ricordato ieri, anche da Lucia Borsellino, c'è una parte di verità ancora da acclarare, ma anche perché non vogliamo che si ripetano, da parte dell'organo di governo autonomo della magistratura, quelle "scelte gravi e incomprensibili" (come ha detto ieri il vicepresidente Legnini) che indebolirono obiettivamente la capacità di contrasto alla mafia.
Oggi, c'è larga condivisione sull'importanza di linee-guida con cui il Csm sensibilizzi gli uffici giudiziari sulle migliori pratiche organizzative e, più in generale, sull'importanza di un'adeguata cultura dell'organizzazione. Anche il legislatore, pure talvolta bistrattato, ha fatto proprio tale approccio, come dimostra, tra l'altro, la recente normativa sui procedimenti giudiziari concernenti i ricorsi in tema di protezione internazionale dei migranti, che affida al Csm il compito di disegnare la struttura organizzativa delle nuove sezioni specializzate in materia.
Alla base di ogni approccio organizzativo, vi è però un retroterra morale e culturale, in questo caso costituito dalla ferma convinzione che la lotta alle mafie è questione cruciale per la democrazia e lo Stato di diritto. In proposito, può essere utile ricordare che le parole, soprattutto nel nostro tempo ad alta intensità comunicativa, fatalmente si usurano, coinvolgendo talora nell'obsolescenza o nella percezione della medesima anche la cosa e i fenomeni che la denotano. È il caso della parola antimafia. Ora, il problema è, come sempre, quello di tenere insieme in modo virtuoso la parola e la cosa. Sotto questo profilo, il titolo del libro promosso dal Csm, "L'antimafia di Paolo Borsellino", è un messaggio da non sottovalutare: una testimonianza che non sfiorisce.
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