Milano, febbraio. La folla in coda per Padre Pio a Roma mi fa tornare al 16 giugno 2002. Il giorno della canonizzazione. Ero lì per Avvenire. Era una giornata torrida. Già alle dieci si sudava sotto al sole che si alzava radioso, prossimo al solstizio d'estate. E nella piazza gremita continuava a confluire, come in un fiume in piena, gente scaricata da centinaia di pullman arrivati nella notte da tutta Italia. Nella calca mi trovai accanto a una piccola vecchia, vestita completamente di nero. Parlava un siciliano stretto, faticavo a capire. «La notte dopo la morte di mio marito – mi raccontò –, ho sognato che camminavo in montagna su un sentiero ripido che sfiorava un burrone, e avevo paura di cadere. Ma poi vedevo di fronte a me Padre Pio che mi porgeva una corona del Rosario, e io mi ci attaccavo come a una corda, e ero salva. Ed è stato proprio così, attaccandomi a quel Rosario sono riuscita a crescere da sola i figli. Io, sono qui per ringraziare». Mi è indimenticabile la fede granitica che la faccia di quella donna modesta testimoniava. Fu davvero una giornata bollente, sotto all'obelisco che proiettava un'ombra verticale, in mezzo a 300mila fedeli. Seduta per terra in un angolo del colonnato, guardavo i piedi della gente: scalzi e polverosi nei sandali, cercavano un istante di refrigerio poggiandosi nudi sul porfido della piazza. Piedi di donne, di vecchi, piedi irrequieti di bambini. Se torno a quel giorno di giugno penso a decine di migliaia di piedi stanchi, così simili a quelli dei milioni di pellegrini che nei secoli sono venuti a Roma. Come la forza collettiva e possente di una fede che traversa il tempo. La voce stanca ma indomita di Giovanni Paolo II, vecchio leone, mi pare di sentirla ancora. «Misereatur nostri omnipotens Deus», il Confiteor che si allargava su trecentomila anime, a colmare la piazza di misericordia. Il sole sempre più alto, i fazzoletti bagnati in testa contro ai colpi di calore. E infine: «Beatum Pium a Pietrelcina Sanctum esse decernimus». E l'urlo della folla, come una gioia a lungo trattenuta che esplode. Me ne tornai verso Termini accaldata e sfinita, i tacchi delle scarpe che lasciavano l'impronta sull'asfalto rovente. La piccola donna del Rosario non mi si toglieva dalla mente. Che cosa aveva detto? «Sono venuta per ringraziare». Non per chiedere una grazia, ma per gratitudine. Non è questo un gran segreto? Fare memoria di quanto la vita ci ha dato e, di tutto, ringraziare. E in quella gratitudine essere lieti, e continuare a sperare. «È necessario, dunque, stabilirci in una speranza», diceva Padre Pio. L'uomo che in confessionale ascoltava tutti i peccati del mondo, eppure continuava a assolvere – il segno della croce bruscamente tracciato dalla sua mano di figlio di contadini.
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