Allerta rossa nel Sahel. A un anno dal rapimento di padre Gigi Maccalli. In Argentina si parlava di desaparecidos, scomparsi senza lasciare traccia. Durante il mio soggiorno a Cordoba, uno degli epicentri della repressione militare, avevo avuto modo di conoscere alcuni famigliari degli scomparsi. C'era in loro il dolore sordo di un'assenza inspiegabile e del sospetto che il congiunto fosse ancora tenuto in ostaggio da qualche parte. Oggi, 17 settembre, è passato un anno esatto dal rapimento di padre Gigi, compagno di viaggio nella nave di sabbia del Sahel. Lui, un lanciatore di allerta di quelli autentici. Lui, che con la sua comunità ha complottato per rendere di nuovo "pericoloso" il Vangelo che ci ricorda che siamo umani, perché in ultimo di questo si tratta nel Sahel come altrove nel mondo. Lui, che hanno portato via una notte di settembre dopo le vacanze, dopo aver fatto scavare pozzi, accompagnato ammalati in città, aperto scuole, cliniche e un fragile centro di aiuto per bambini mal nutriti. Lui, che parlava la lingua del suo popolo e che dal suo popolo era stato colonizzato. Aveva inaugurato con fierezza una cattedrale contadina che considerava con ingenua fierezza la prima "Basilica del Sahel" fatta di sabbia e di sogni inesplorati.
Le allerte accompagnano ormai la vita dell'Occidente e, senza darlo a vedere si sono propagate dappertutto. L'inutile allerta per le inondazioni che solo nel Niger ha causato la morte di circa 60 persone e ha creato migliaia di sfollati. L'allerta per gli attacchi dei terroristi che hanno portato al prolungamento dello stato di emergenza in tre regioni del Niger, alla chiusura di scuole e alla sospensione del servizio sanitario di base per migliaia di poveri. L'allerta indirizzata ai cittadini di origine europea tramite una cartina che colora di rosso il Paese intero con eccezione della capitale e di una striscia che si avventura verso la frontiera col Benin. C'era intanto a Genova e provincia un'allerta gialla per possibili precipitazioni a carattere temporalesco. Genova, Italia, dove sono sempre più diffusi i cartelli che invitano i cittadini a fare attenzione perché sono in un'area sotto sorveglianza video. Si allerta per dare sicurezza a cittadini che sono stati preventivamente paralizzati da angoscianti notizie su possibili infrazioni all'ordine pubblico. Le società hanno fatto delle allerte un sistema di controllo globale.
Le allerte dovrebbero essere ben altre e padre Gigi ce lo ricorda. L'allerta della grande guerra contemporanea che è la fame, quella delle disuguaglianze abissali che rendono ancora più profondo il fossato tra il Nord e il Sud del mondo. L'allerta per l'apartheid globale che divora i poveri e li vende per un paio di aiuti che ne perpetuano l'esclusione. Per il tradimento che continua a perpetrarsi tra chi ha il diritto alla mobilità e chi, invece si trova nell'immobilità dei cimiteri di sassi e di mare. Sono infatti decine e decine ogni settimana i migranti d'Africa che vanno a morire prima ancora di raggiungere la riva del mare dove li attente il battesimo dei senza nome. Padre Gigi è lui stesso, assente, presente, scomparso, prigioniero, ostaggio, perduto, libero, silenzioso e assordante. È questa l'unica allerta che merita il suo nome. La sua vita invisibile è l'allerta che grida nel Sahel l'ingiustizia degli ostaggi della miseria che arma il vuoto creato dalla dignità confiscata ai poveri. La sua è l'allerta di chi ha tradotto il silenzio in grido per chi, come lui, è stato portato via dall'astrazione di una religione resa ideologia (perdente) di potere. Per questo, tutti, dovremmo dare l'allerta.
Da gennaio a luglio di quest'anno, secondo un rapporto Onu, nella sola regione di Diffa nel Niger sono scomparse 179 persone e tra di esse 44 donne. Per alcune è stato pagato il riscatto mentre altre sono scomparse alla maniera di padre Gigi, seppur di religione diversa. In realtà quei contadini, poveri e senza volto, diversamente da lui, erano già scomparsi dalle priorità delle politiche del Paese. E di questo mai nessuno ha dato l'allerta. "Liberate padre Gigi", scrivono i suoi amici di Crema, Genova e Niamey la capitale nel Niger. Ora l'allerta sta tutta nelle nostre mani e solo possono declinarla gli insorti.
Ed è per dare l'allerta che, nella diocesi di Niamey, quest'oggi non si celebrerà Messa.
In treno, settembre 2019
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