Quello che state per leggere è un testo-capolavoro. È firmato Fabrizio De André. E merita, appunto, di essere semplicemente letto. Semmai, con l'aggiunta di una nota finale.
«Cantami di questo tempo l'astio e il malcontento di chi è sottovento; e non vuol sentir l'odore di questo motor: che ci porta avanti quasi tutti quanti, maschi femmine e cantanti su un tappeto di contanti, sotto il cielo blu. …Figlio bello e audace, bronzo di Versace, sempre più capace: di giocare in borsa, di stuprare in corsa…Quanti pezzi di ricambio, quante meraviglie, quanti articoli di scambio, quante belle figlie da sposar! …Povero figlio: eri bello bianco e vermiglio, quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio? Figlio, unico sbaglio, annegato per pugnalarmi nell'orgoglio: a me, che ti trattavo come un figlio, povero me… Domani andrà meglio! …Quanti pezzi di ricambio, quante meraviglie, quanti articoli di scambio… E quante figlie da giocar!». Ed eccoci all'unica annotazione che un brano così permette. La canzone s'intitola "Ottocento"; De André l'ha scritta assieme a Mauro Pagani nel 1990. Ma provate a pensare a questo mercato di «articoli di scambio», a questo padre che in fretta si dà pace, a questo «intruglio» che ci perde per un «Naviglio» che richiama tutti i canali del mondo, a questo «motor che ci porta avanti quasi tutti quanti» (quasi!)… Pensateci, e magari vi verrà voglia di aggiornare quel titolo. Pensateci e, magari, vi verrà da cambiare "Ottocento" in "2019". Magari.
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