Il concentrarsi dell'opinione pubblica sull'epidemia da coronavirus ha posto in secondo piano, su giornali e telegiornali, la Giornata internazionale della donna. Non così in Rete, dove l'assenza di limiti di tempo (quelli che toccano l'informazione radiotelevisiva) e di spazio (quelli che caratterizzano le pagine cartacee) lascia più libertà di distaccarsi dai principali flussi comunicativi. In particolare, sui blog e i siti d'ispirazione cristiana ho incontrato tre post meritevoli di essere recuperati - magari approfittando del "tempo libero" impostoci dalle circostanze.
Dal Messico, via "Aleteia" ( bit.ly/2W2SmJQ ), ho appreso di un'originale contaminazione fra le tradizioni quaresimali e la sollecitudine per la questione femminile: in una chiesa di Città del Messico sono state coperte con i tradizionali drappi viola solo le immagini di donna, al fine di sensibilizzare la comunità cristiana a prendere coscienza delle discriminazioni che al suo interno perdurano. "Adista" ( bit.ly/33hsITv ) ha rilanciato invece una campagna delle suore missionarie scalabriniane: sulle pagine social delle loro comunità, dal 4 all'8 marzo, si sono succedute splendide immagini di volti femminili, con commenti d'autore e l'obiettivo di porre attenzione ai diritti delle donne, soprattutto di quelle migranti, e alla loro forza.
Infine, "Re-blog" ( bit.ly/3aGVWxf ), anticipando in un post l'articolo scritto da Piero Stefani per il prossimo numero della rivista "Il Regno", ha raccontato la storia di Regina Jonas, prima donna rabbina, vissuta a Berlino e morta deportata ad Auschwitz, oggi «uno dei punti di riferimento imprescindibili del pensiero femminista ebraico», sebbene solo alla fine dello scorso secolo la sua memoria sia stata recuperata. «Poiché dove sorgono richieste di tal genere, la situazione non è sana», la rabbina Jonas aveva dichiarato di sperare in «un tempo per tutti noi in cui non ci saranno più domande sull'"argomento donna"». Un tempo in cui non ci sarà più bisogno di un 8 marzo.
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