Il sito "Unione dei giornalisti ortodossi" è nato in Ucraina nel 2015 e pubblica in ucraino, russo, inglese, greco, romeno, georgiano e serbo. La sua ragion d'essere, come spiega chiaramente il "chi siamo" ( bit.ly/3IOwabS ), è denunciare la «costante persecuzione» di cui, a suo dire, è fatta oggetto la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca (quella guidata dal metropolita Onofrio) «da parte delle autorità ucraine», conniventi con quelli che definiscono «gli scismatici», ovvero gli aderenti della Chiesa ortodossa ucraina autocefala, e i «nazionalisti radicali». Dunque una fonte che, nello scisma intraortodosso che si è consumato in questi anni in Ucraina coinvolgendo l'intera Ortodossia, si schiera con la Chiesa russa e i cui utenti, a giudicare dalle visualizzazioni, sono per la maggior parte russofoni.
Conoscere il codice genetico di questi giornalisti rende ancora più significativa la lettura delle news che hanno pubblicato negli ultimi giorni. Mentre continuano a denunciare le «ostilità interconfessionali» di cui si dicono vittime, non esitano a parlare esplicitamente di «guerra», di «invasione militare», di «bombardamenti» e di «profughi», termini che in Russia sono banditi dall'informazione. Mi colpisce anche che i post più popolari (tra le 11mila e le 16mila visualizzazioni) dell'edizione russa ( bit.ly/3vH1hm1 ) raccontino – pur senza farlo proprio – dello scoramento di questa Chiesa: fedeli, chierici, gerarchie non comprendono perché il loro patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, non abbia preso le distanze dall'invasione decisa dal presidente Putin. C'è un appello allo stesso Kirill perché chieda a Putin di fermare le ostilità; in almeno 15 diocesi i vescovi dispongono di non nominarlo durante la divina liturgia; ci sono chierici che chiedono apertamente il distacco della loro Chiesa da Mosca. Il grado di radicalità è diverso, ma il segnale è inequivocabile.
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