A metà legislatura avevano cambiato gruppo parlamentare 110 tra deputati e senatori (dati Youtrend aggiornati al 4 ottobre 2020), pari all'11,3% del totale. Per opportunismo o per legittimo travaglio ideale? Qualcuno è passato da un gruppo a un altro, altri sono confluiti nel gruppo misto, che cresce man mano che va avanti la legislatura. Alla Camera ha più che raddoppiato i suoi componenti. Il "misto" è necessario perché ogni parlamentare dev'essere comunque inserito in un gruppo. La Costituzione, a dire il vero, è piuttosto parca di riferimenti espliciti sull'argomento. Nell'art.72, quando si tratta della Commissioni, si legge che devono essere composte «in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari». Nell'art.82 compare un analogo richiamo per quanto riguarda la formazione di eventuali commissioni d'inchiesta. È più che sufficiente, comunque, per ritenere che i gruppi parlamentari siano costituzionalmente indispensabili, tanto più che secondo la Carta ciascun ramo del Parlamento adotta il proprio regolamento e i regolamenti di Montecitorio e Palazzo Madama sono molto chiari: nel primo caso i gruppi vengono indicati come «soggetti necessari per il funzionamento della Camera, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dal Regolamento», nel secondo si sottolinea che «tutti i senatori debbono appartenere a un gruppo parlamentare», fatta eccezione per i senatori di diritto e a vita in virtù della loro particolare legittimazione non elettorale.
I gruppi parlamentari sono in un certo senso la proiezione istituzionale dei partiti, attraverso il passaggio elettorale (anche se la questione è tutt'altro che lineare sul piano della dottrina giuridica). Quando nel 2017 il Senato ha riformato il suo Regolamento, per cercare di arginare la frammentazione e il moltiplicarsi dei gruppi che aveva raggiunto livelli parossistici ha integrato il criterio numerico proprio con un esplicito riferimento al voto. Per costituire un nuovo gruppo non sarebbero bastati più dieci senatori, ma sarebbe stato necessario il collegamento con un partito presente alle elezioni. È per questo motivo, ad esempio (il caso è tornato in grande evidenza negli ultimi giorni), che quando i senatori di Italia Viva hanno lasciato il Pd per costituire un gruppo autonomo, pur avendone i numeri hanno dovuto appoggiarsi al senatore socialista Riccardo Nencini, eletto con il centrosinistra ma titolare di un proprio simbolo elettorale. Tant'è vero che il nome completo del gruppo è Italia Viva-Psi.
Nell'ambito della riforma del 2017, il Regolamento del Senato ha fissato anche delle norme per limitare la "mobilità" tra i gruppi, stabilendo la decadenza da alcune cariche in caso di passaggio ad altra formazione. Un modo per scoraggiare il trasformismo opportunista. Ma oltre queste misure è difficile andare perché, se è vero che ogni parlamentare dev'essere inserito in un gruppo e i gruppi nel loro equilibrio complessivo rispecchiano la volontà espressa dagli elettori, ogni eletto conserva tutta intera la propria responsabilità e autonomia. Nell'attività ordinaria come nei momenti cruciali. «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», recita l'art.67 della Costituzione. Un solenne e fondamentale principio di libertà, condiviso dalla gran parte delle democrazie, che impedisce la riduzione di deputati e senatori a meri esecutori delle direttive di un partito o di un leader, come espresso dal rifiuto del vincolo di mandato. E la prima parte dell'articolo è ancora più pregnante: i parlamentari non rispondono in modo esclusivo ai propri elettori ma rappresentano il Paese nel suo insieme. Non sono portatori di interessi settoriali, ma devono guardare al bene comune. Abbiamo bisogno di parlamentari consapevoli di questo ruolo e di questa dignità, più ancora che di nuove regole.
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