domenica 17 giugno 2012
Bisognerebbe indignarsi, vergognarsi; dar mostra di ottimi sentimenti, invocare una nuova morale, richiamare un'etica in divenire. Essere informati, connessi, collegati. Condividere. Rifondare la politica, rappezzare l'economia aprendo al nuovo che avanza. Allargata l'area della coscienza tracimarla in nuova cittadinanza. Far crescere i diritti. In Comune, in Provincia, in Regione, nella Nazione, rinvigorendo al contempo la spinta propulsiva all'edificazione di una Europa Unita. Applausi all'ONU e alle sue agenzie. I nativi digitali sono già tra noi, arriveranno gli UFOrobot e l'umanità accederà ad una nuova era; tutti i giorni saranno di festa. Come segno dei tempi ci accontentiamo di aver fatto della domenica un giorno qualsiasi, liberalizzato. Nel frattempo ci tocca vivere.Ci avviciniamo al solstizio d'estate, ogni giornata ne vale 3 se ci si sveglia con la luce e ci si addormenta con il buio, godendo della Creazione. Se arriva un buon libro va messo da parte e cresce la pila che aspetta l'inverno. Adesso ci sono giorni in cui non un solo pensiero supera la soglia del concreto operare, la fatica fisica è unico limite e se m'attardo su un respiro di sollievo rischio d'appisolarmi.Ieri sera mi sono messo d'impegno a scrivere questa rubrica settimanale; la testa non ne voleva sapere, reclamava il vuoto, il riposo. Finché c'è stato rumore in cucina, con fatica, qualche frase, un abbozzo di discorso vergava la pagina bianca poi mi è stata augurata la buona notte, è calato il silenzio e, di colpo mi sono svegliato: in mano la penna, la testa sul tavolo, la schiena dolente. Biascicando una preghiera sono salito in camera mi sono buttato nel letto. C'è un solo pensiero che mi fa sorridere e a cui dedicherei, al momento, ogni attenzione. Non è possibile, suona già la sveglia, il cielo rischiara; vorrei fracassarla ripiombare nel nulla ma lo stesso pensiero si ripresenta e scatto come una molla: mi lavo la faccia, preparo il caffè, lo trangugio, finisco di vestirmi mentre attraverso l'aia con i cani che m'intralciano il passo assonnato. Il tempo d'una sigaretta e arrivo al portone, sottovoce un nitrito, roco, mi accoglie mentre lo spalanco. L'Una ha partorito 36 ore fa. Finito il tempo della gravidanza ancora 8 giorni d'attesa e d'ansie poi è nata, si chiama Neasseta Renna e il perché magari ve lo racconto la prossima volta, è una bella storia. Sdraiata, con uno scatto sghembo e traballante si alza su gambe lunghe che sembrano sfuggirle, si scrolla, sbadiglia e, senza degnarmi di uno sguardo, strusciando la madre s'attacca alla tetta e succhia gorgogliando; strattona e si prende una musata leggera e un rimbrotto stizzito, scodinzola. Contemplare il mistero del vivere operando per ciò che ci compete; resta il tempo per innalzare lode, resta necessità di fare attenzione, la consapevolezza che meraviglia e tragicità sono inscindibili.Neasseta è figlia di L'Una, figlia di Sparta, figlia di Nubia, una genealogia matrilineare che allieta il mio vivere. Nubia l'ho comprata per suggellare il ritorno a casa. L'ho cercata a lungo ma solo quando l'ho vista ho capito cosa cercavo e perché: incarnava il racconto che non può essere perso, muta testimonianza di una storia, una civiltà del vivere sui monti. Sparta è nata mentre col muro di Berlino crollava il mondo in cui ero cresciuto; L'Una col nuovo millennio mentre ristrutturavo la casa di famiglia. Ora Neasseta propizia il transumare di là dal valico, alta Lunigiana, dove stiamo costruendo un Teatro montano, un'Accademia per cavalli e cavalieri, un pezzo di vita. Un rifugio per tempi che s'annunciano tribolati e turbolenti.
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