giovedì 8 gennaio 2004
Tutta l'iconografia cristiana rappresenta i santi con gli occhi aperti sul mondo, mentre l'iconografia buddhista rappresenta ogni essere con gli occhi chiusi. Trovo questa osservazione dello scrittore inglese Gilbert K. Chesterton (1874-1936) in un saggio posto all'interno della raccolta degli scritti e delle testimonianze del prof. Giorgio Zanotto, una delle figure più significative della vita civile e cattolica veronese di questi ultimi decenni. La nota è interessante perché mette a confronto due atteggiamenti diversi, se non antitetici, nell'affrontare la realtà. Da un lato, c'è la visione cristiana "incarnata" nella storia, protesa a gettare un seme di eternità nel mondo, a lottare contro il male e l'ingiustizia, a creare un nuovo ordine di rapporti sociali e interpersonali. D'altro lato,
c'è una spiritualità più "introversa", incline a rinchiudersi nel mistero che ogni creatura ha dentro di sé, considerandolo come il microcosmo nel quale scoprire Dio. È facile osservare che entrambe queste prospettive possono degenerare nella pratica. Non è raro, infatti, vedere la riduzione del cristianesimo a puro impegno caritativo, spogliandolo della sua dimensione mistica e trascendente. Come è frequente anche in Occidente, la tentazione di ritirarsi in se stessi, ignorando il mondo con le sue miserie, decollando dalla realtà quotidiana verso cieli mitici e mistici. È, allora, necessario ritrovare la forza della testimonianza trascinatrice, avere occhi ben aperti per lottare contro il male ma è altrettanto indispensabile rientrare in se stessi nella preghiera per alimentarsi alla sorgente dell'intimità divina. È solo attraverso questo equilibrio tra lo sguardo esteriore, vigile e capace di giudicare, e lo sguardo contemplativo dell'anima che si ha la vera spiritualità.
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