Quello presente è il tempo della felicità, eppure ne parliamo troppo spesso solo al passato. Dopo la distruzione di Gerusalemme, quando il profeta Geremia trova rifugio in Egitto con un piccolo gruppo di ebrei, là, al sicuro, la vita riprende a scorrere come prima, e Geremia rimprovera ai suoi connazionali di ricadere negli stessi peccati che avevano portato Gerusalemme alla rovina: adorano tanti dèi e il Signore al tempo stesso. I rifugiati però non ascoltano il profeta: ai tempi in cui offrivano incenso e libagioni ai loro idoli, tutto andava bene. «Allora avevamo pane in abbondanza, eravamo felici e non vedemmo alcuna sventura» (Ger 44,17).
La nostalgia, che dipinge il passato a colori vividi e brillanti, è un’illusione, un’illusione mortifera, poiché ci fa confrontare l’oggi, sempre deludente, con un passato idealizzato che non è mai esistito. Così ridisegnato, il nostro passato rischia ben presto di diventare a sua volta un idolo tremendo. Come tutti gli idoli, ci scolla dalla realtà per rinchiuderci in un mondo di idee, di ricordi e di immaginazione. Non può creare nulla di nuovo: non ha null’altro da offrire che il rimuginio degli stessi ricordi, in un mondo chiuso, protetto dalle incertezze, ma anche al riparo dalla vera felicità, che è solo l’altro nome dell’amore per la realtà.
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