Ho sempre sospettato che la maggiore speranza di vita per le donne -gap a favore, purtroppo in via di riduzione - è legata al fatto che conclusa l'età fertile alle femmine umane tocca dare una mano alle figlie per tirare su i loro bambini: i geni, si sa, non si fanno troppi problemi di emancipazione. Come se la coppia madre-figlia fosse in prima linea nell'allevamento dei piccoli. Ne trovo conferma in un libro di Edoardo e Vieri Boncinelli, “L'età conquistata” (Solferino) in cui si sostiene che «per aiutare i genitori a crescere i figli, le nonne sono più importanti dei nonni». Il tutto veicolato da cospicue quantità di ossitocina, ormone dell'affettività che ha una parte decisiva nello sviluppo dell'attaccamento materno. Un vero e proprio “vantaggio matrilineare” che conferisce un ruolo di primo piano alla nonna materna, il cui legame con la figlia si rafforza in seguito alla nascita di un nipotino/a. La vicinanza della nonna gioca a favore della scelta di allattare da parte della neomamma e ha effetti importanti sulla strutturazione della personalità del piccolo (mentre al nonno tocca un compito più ludico-socializzante). Ecco: sapere queste cose rende ancora più straziante, se possibile, la vicenda di quel ragazzo che nel Ferrarese ha ucciso a botte la sua amorosissima nonna. Per pochi soldi, per la droga, per chissà quale altro demone.
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