Siamo stati abituati a pensare al trionfo di Davide contro Golia nel filtro della grande cultura occidentale che, considerando solo alcune celebri tappe dell'arte statuaria, ce lo presenta, in una progressione significativa, quasi inebriato dall'incredibile impresa appena realizzata (Donatello), con la spada in pugno e la testa del nemico ai piedi (Verrocchio), atletico e lungimirante (Michelangelo), protagonista di un'elastica torsione (Bernini), cioè, in ultima analisi, completamente autonomo dopo aver compiuto il suo gesto di volizione individuale. Si tratta di una commovente forzatura umanistica.
Davide, nel momento in cui scende in campo, non è solo. La sua vittoria non scaturisce da un'astuzia omerica. L'intraprendenza del geniale adolescente, verbale nel suo colloquio con Saul, in cui dimostra di possedere una maturità sconcertante, e fisica, nel combattimento vero e proprio contro il gigante filisteo, non è una mossa individuale, ma ubbidisce a un ordine anteriore dalla cui accettazione discende tutto il resto. Alla medesima stregua del giovane eroe, pronto a sbarazzarsi prima del combattimento della corazza che invece imprigiona il suo nemico, anche noi dovremmo rinunciare alla pretesa di poter comprendere per conto nostro la tradizione che abbiamo alle spalle.
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