Costumi esagerati in technicolor, canzoni strane scritte con attenzione a tavolino, un canto bizzarro fra mezze denunce e tanta volgarità: in fondo è vero, ci vuol poco per fare canzoni di satira cosiddetta demenziale. Lo dicevano anche i padri del genere, I Gufi: quando già cinquant'anni fa cantavano che Non ci vuol niente attaccando le abitudini dell'indifferenza, le storture della società civile, le aberrazioni dell'ideologia, il decadimento di arte ed etica, i farisei e i violenti. Però lo facevano senza truccarsi da clown, senza volgarità, e le canzoni, non le scrivevano a tavolino per colpire l'uditorio: magari di Sanremo. Anche perché a Sanremo, I Gufi, non li avrebbero mai voluti: erano scomodi davvero, loro. Loro che nel 1967 cantavano in perfetta polifonia… «Non ci vuol niente a credere che hanno ragione i deboli, che c'è qualcuno che poi ci penserà, a dare loro tutto il ristoro; ma è molto più difficile dare una mano subito, senza scordare chi ha ancora fame, senza accusare chi vuole avere solo ciò che non ha…». Forse era una musica "demenziale" un po' diversa, quella di Roberto Brivio, Gianni Magni, Lino Patruno e Nanni Svampa. Ma del resto può capitare, che i gufi volino ben più alto di molte (presunte) aquile.
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