«L'abolizione del cielo» (D. Fusaro) come riduzione dell'umano a ciò che sotto il controllo della tecnica diventa abolizione dell'uomo tout-court. «Abolire il cielo» significa decapitare l'umano della parte che ne permette l'evoluzione ma ne definisce anche la tensione, unica tra tutti gli animali, che lo spinge deliberatamente a Dio. Tensione che qualunque cultura, in forme diverse, ha manifestato e manifesta. Pure in Corea del Nord, lo stato più sedicente «ateo» del mondo, scandisce i propri «ritmi di produzione» nel culto in tutto e per tutto «religioso» dei due leader fondatori del Paese. E se «religione» («re-ligo», tengo assieme) nell'umano si dà obbligatoriamente, quello che si cerca di farne è semplicemente un gioco di sostituzione. Sarà ed è «il dio Denaro» (come ha più volte ripetuto Papa Francesco) quella sorta di cupo cielo che ci nega l'essenza, e ci vuole idolatri e schiavi di divinità tutt'altro che divine, non nei templi ma nelle banche. «Fuori i mercanti dal Tempio!» è diventato ormai un «Fuori il tempio dal Mercato!». Il tutto, con un'escatologia che non promette futuri raggiungibili dal presente, ma presenti raggiungibili dal futuro: mutui, assicurazioni. Sant'Agostino diceva di non riuscire a definire il presente. Oggi, impegnando il futuro, ci continua a sfuggire, ma lo possiamo comprare.
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