Che i nostri telefonini possano diventare dei microfoni spia capaci di registrare le nostre conversazioni, l'abbiamo appurato la scorsa settimana. Oggi andremo più a fondo, scoprendo che abbiamo molti altri buoni motivi per non stare tranquilli. Dai tempi del primo poligrafo – comunemente chiamato "macchina della verità" – ci sono scienziati che progettano macchine per scoprire i nostri segreti. E per farlo si sono affidati di volta in volta a meccanismi sempre più sofisticati, in grado di leggere le emozioni altrui, facendo leva su diversi dati fisiologici: dalle variazioni della temperatura corporea e della respirazione dell'esaminato fino all'accelerazione dei suoi battiti cardiaci e all'innalzamento della sua pressione sanguigna.
Fino ad oggi per "misurare la verità" – anche se l'efficacia del poligrafo resta molto discussa e quindi non accettata come prova in quasi nessuna nazione – si doveva collegare il soggetto sotto esame alla macchina, utilizzando cavi ed elettrodi. Oltre cent'anni dopo la nascita del primo poligrafo, la realtà è andata così avanti che oggi siamo tutti potenzialmente costantemente sotto esame. Non tanto e non solo perché – come ben sappiamo – tutto ciò che facciamo in Rete lascia una traccia e quindi racconta di noi scelte, fatti, parole e pensieri.
A doverci far riflettere (e tanto) è il fatto che colossi del digitale come Facebook, Google, Microsoft e Apple hanno investito negli ultimi mesi una montagna di dollari per acquistare società che lavorano sul cosiddetto neuromarketing. Dietro il suo nome altisonante e scientifico, questo vocabolo nasconde scenari quasi da incubo. Non solo saremo giudicati e catalogati per quello che facciamo in Rete, ma anche per come lo facciamo. Per esempio, misurando la pressione con la quale abbiamo battuto una certa frase o un certo vocabolo sulla tastiera o quanto velocemente abbiamo mosso il mouse mentre facevamo una certa ricerca.
Non solo. Persino i nostri selfie vengono già catalogati per scoprire le nostre vere emozioni. Come ha raccontato il bravo Lelio Simi, da tempo l'azienda parigina Angus.ai «ha sviluppato una tecnologia per trasformare in dati, in tempo reale, il livello di soddisfazione dei clienti grazie alla lettura delle loro espressioni facciali captate dalle telecamere installate all'interno dei negozi». Ed è solo l'inizio. C'è chi lavora su telecamere termiche in grado di captare le emozioni dei clienti leggendone la frequenza cardiaca mentre fanno la spesa e chi, come Affectiva, si vanta di avere già il più grande archivio dati facciale del mondo con 4 milioni di volti analizzati, catturati in 75 Paesi.
Solo negli ultimi mesi ben quaranta società specializzate nella lettura delle emozioni a fini pubblicitari (e non solo) sono state acquistate dai giganti del digitale. Per non parlare del fatto che la sola Facebook, per fare un esempio, sta lavorando a diversi brevetti sul tema, uno dei quali ha come obiettivo utilizzare le immagini degli utenti catturate attraverso le telecamere dei computer portatili e degli smartphone anche quando le fotocamere risultano spente (quindi, a nostra insaputa). Il tutto per raccogliere e analizzare le nostre reazioni emotive, così da comprendere quale sia l'oggetto migliore da proporci in acquisto e, soprattutto, quando sia il momento in cui siamo più vulnerabili e pertanto il migliore per indurci a comprarlo.
Non è uno scenario da fantascienza (o da incubo) ma una realtà enorme in rapida crescita. Al punto che, secondo Kvb Research (citata nell'analisi di Lelio Simi), nel 2022 il mercato delle tecnologie capaci di catturare le nostre emozioni varrà 29,2 miliardi di dollari.
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