Nella storia della salvezza non può esserci un sequel
domenica 4 febbraio 2018
Negli anni scorsi, ogni volta che usciva un nuovo film sulla vita di Gesù veniva riciclata una modesta battuta: “Vai a vederlo?”. “Non so. Tanto so già che finisce male: lui muore…”. Oggi invece vedo sulle fonti online generaliste, ma anche su qualcuna specializzata, come “Aleteia” ( tinyurl.com/ybgmn8fo ), che si definisce senza ironia «sequel», ovvero “seguito”, il secondo film su Gesù Cristo che Mel Gibson sta preparando dopo The Passion. Mentre apprendiamo che a interpretare il «protagonista» sarà di nuovo l'attore Jim Caviezel, l'allusione al nuovo lavoro come al «sequel» di quello del 2004 è addirittura ridondante. Esigenze promozionali, certo, che però i media non si preoccupano di filtrare. Tecnicamente non fa una piega: la parola indica un'opera «che presenta dei personaggi e/o degli eventi cronologicamente posteriori a quelli già apparsi in un precedente episodio», spiega Wikipedia. Ma è implicito che di tali personaggi ed eventi si saprebbe poco o nulla se non arrivasse, appunto, l'atteso “seguito”. Ecco infatti “Quotidiano.net” ( tinyurl.com/ybfopxmm ) che prima si interroga: «Di cosa parla il sequel? Mistero»; poi chiarisce: «Il titolo provvisorio del sequel è The Passion Of The Christ: Resurrection», che «suggerisce dove andrà a parare la trama». A me pare che la definizione di “sequel”, per quanto familiare a chi va al cinema, mal si adatti a un «episodio» (e che episodio!) della storia della salvezza, a meno che gli autori non introducano una variante radicale – non solo apocrifa – a tale storia. Variante che difficilmente dovrebbe essere nelle corde di Mel Gibson, anche se i resoconti di questi giorni non lo escludono (di nuovo, immagino, per nutrire l'attesa del pubblico). Insomma: va bene la promozione, ma davvero si ritiene che il pubblico abbia un'alfabetizzazione religiosa così scarsa da aver bisogno del «titolo» per intuire dove la trama di questo film «andrà a parare»?
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