Se fossi un parroco, proverei una certa inquietudine ogni volta che il calendario liturgico presenta, nel Vangelo festivo, le Beatitudini. In esse si trova il centro dell'annuncio del Regno di Dio. E come allora riuscire, nell'omelia, a trasmetterne la sintesi, anche vincendo la familiarità con la loro formulazione letterale?
A modo suo mi ha risposto la Rete, dove in questi giorni ho incontrato una davvero inattesa varietà di linguaggi e di riferimenti alle Beatitudini, insieme, tutto sommato, a una sicura coerenza dei contenuti. Tra i predicatori insospettati si incontra un cantautore, Rino Gaetano, che elencava le Beatitudini «secondo il mondo» in modo, suggerisce Sergio Ventura su "Vino Nuovo" (tinyurl.com/j8w4e64), da far «assaporare», per contrasto, «il senso profondo di questa promessa di pienezza». Maria De Filippi, per la sua (supposta) idea teleologica della felicità, è invece l'interlocutrice scelta dal gesuita padre Gaetano Piccolo su "Gli Stati Generali" (tinyurl.com/gsxawt4) per mettere in luce che, Beatitudini alla mano, «bisogna riconoscere che non abbiamo tutto, per essere felici» e che «la felicità non è mai un affare personale e solitario».
Tra i predicatori per ministero, cioè i pastori, ecco come parla il vescovo di Carpi, Francesco Cavina, sull'agenzia "ACI "(tinyurl.com/j9bbevo), dove tiene un commento alle letture domenicali. Stando al Catechismo e a Benedetto XVI, dice, le Beatitudini sono, prima di tutto, «una nascosta autobiografia interiore di Gesù»; se i suoi discepoli vivranno nella stessa prospettiva, renderanno già presente il Regno di Dio nella tragedia del mondo. Va più in là un altro vescovo, scomparso e indimenticato: Tonino Bello. Sul blog "Alla ricerca della vita vera" (tinyurl.com/h4o2cgc), che riprende un suo testo, ricorda che avremo parte all'eredità del Regno o perché «ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri», o perché «ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri».
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